di Emanuele Arcà e Adele Barlassina –
Con la crisi del #COVID19, le cittadine e i cittadini d’Italia ed Europa stanno ricordando l’importanza della sanità pubblica e della resilienza delle istituzioni sanitarie. In particolare, la crisi ha evidenziato quanto sia essenziale la collaborazione tra le diverse istituzioni per il raggiungimento dell’obiettivo principale: la tutela della salute pubblica.
In Italia, Le discordie politiche e amministrative tra regioni e governo centrale all’alba dell’epidemia di coronavirus hanno determinate il fallimentare coordinamento del meccanismo di risposta volto al contenimento del virus. Tale condizione ha creato terreno fertile per la diffusione del Coronavirus su tutto il territorio nazionale ed oltre.
L’epidemia di COVID-19 ci ha posti nella posizione di dover considerare l’Europa come unica “nazione” fatta di un unico popolo e di un unico spazio dove le persone, i mezzi e i servizi (e purtroppo, anche i virus) si muovono liberamente. In un’Europa così configurata, risulta indiscutibile che serva un meccanismo paneuropeo di risposta alle emergenze sanitarie.
Il meccanismo esiste già e si chiama: Meccanismo Comunitario di Protezione Civile .
Nato dopo una serie di gravi calamità naturali e catastrofi ambientali alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, il Meccanismo fu ideato per migliorare il coordinamento europeo delle risposte ad emergenze transnazionali, garantendo l’efficiente scambio di informazioni tra le parti coinvolte e la condivisione di risorse e competenze.
Nel 2019, la Commissione europea ha rafforzato questo meccanismo attivando il progetto “rescEU”. Il quale, oltre a creare la cosiddetta “riserva rescEU” di aerei ed elicotteri, serve per far fronte anche ad emergenze mediche, chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari fornendo supporto logistico e informativo.
L’Italia ha recentemente attivato il meccanismo di protezione civile europeo, chiedendo l’invio di attrezzature mediche come mascherine. Ma il suo funzionamento è stato più che fallimentare.
Alla richiesta dell’Italia per la fornitura di attrezzature mediche, nessun paese Europeo ha risposto.
L’attivazione di questi meccanismi da parte dell’Italia rappresentava una grande opportunità per rinforzare:
- Il supporto strutturale e informativo agli Stati membri in difficoltà;
- La condivisione di informazioni e armonizzazione di misure su tutto il territorio europeo;
- Il miglior controllo della diffusione del virus a livello europeo;
- Il rafforzamento dell’immagine di un’Europa solidale, che non guarda solo all’economia agendo da arbitro, ma che guarda al suo popolo, il popolo europeo, agendo da “madre”.
Sfortunatamente, la mancanza di partecipazione e attivismo da parte degli Stati membri dimostra l’incapacità del sistema attuale. Tuttavia, la crisi #COVID19 ha forse aperto una finestra di opportunità per agire e creare qualcosa di nuovo: nel futuro, i meccanismi di collaborazione in ambito Europeo dovranno necessariamente essere migliorati e incrementati.
Le attuali divergenze strutturali tra gli Stati membri rendono infatti la collaborazione complicata, così come complicata è stata la collaborazione tra Regioni italiane in queste ultime settimane (e non solo). Inoltre, la natura volontaria della partecipazione a livello europeo incide sull’efficienza del meccanismo e sull’impegno necessario per attivare questo meccanismo. Divergenze strutturali e volontarietà del processo devono essere rimodellate e ridiscusse per quanto riguarda il meccanismo attuale.
Le istituzioni nazionali ed europee si sono mostrate inadeguate nel far valere i meccanismi presenti (istituiti da loro stesse) perché sono inadatte a far rispettare i propri principi fondanti. Nel momento di bisogno, il principio di solidarietà deve essere il motore trainante delle scelte politiche. Questo, così come il principio di sussidiarietà, sono le basi ideologiche dell’Unione ma non del funzionamento reale delle sue istituzioni attuali. Lo si riscontra anche nelle piccole e insignificanti misure messe in atto in questi giorni dalla Commissione UE: 232 milioni messi a disposizione, di cui 100 milioni per aziende farmaceutiche sotto forma di partenariato pubblico-privato.
Tutto ciò dimostra che le istituzioni europee non sono ancora realmente democratiche e non rappresentano pienamente il popolo Europeo: esse devono essere dunque democratizzate.
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