Dopo Madrid, sul clima diciamo basta ai buoni propositi

Il fallimento del vertice COP25 a Madrid non è più tollerabile.
Entro la prossima COP26 di novembre 2020, a Glasgow (UK), occorre pensare una strategia comune di tutti i movimenti e le comunità interessate a fermare realmente i cambiamenti climatici. La conferenza sarà preceduta da una pre-COP a Milano, a detta del Ministro Costa destinata a ospitare i giovani e dedicata all’Africa. È tempo che si metta fine a questo divario tra l’eccesso di retorica da una parte e l’assenza di azioni dall’altra.
 
Dopo il fallimento della COP25 i movimenti mondiali per il cambiamento climatico dovranno prendere atto che la politica non risponde né a loro né agli appelli degli scienziati. Lo dice la stessa giovane, ma non ingenua, Greta Thunberg: “La scienza è chiara, ma viene ignorata” e aggiunge “in ogni caso noi non ci arrendiamo, abbiamo appena cominciato” (1). Si prende atto così che a nulla sono valse le ripetute manifestazioni, con milioni di giovani (e non solo) che nel 2019 hanno riempito le strade di tutto il mondo e in modo capillare, anche nei centri più piccoli. A nulla sono valsi gli appelli della comunità scientifica che ormai parla con unanime certezza di un inevitabile collasso climatico, qualora non si ricorra a misure drastiche e su scala planetaria. A nulla le clamorose azioni di Extinction Rebellion e Greenpeace. A nulla il martirio di una esposizione mediatica senza precedenti per la sedicenne Greta Thunberg e il suo giro del mondo in barca a vela, da New York al Cile a Madrid, inseguendo prima il Summit dell’ONU sul clima del 23 settembre, e poi a Santiago del Cile. Qui doveva svolgersi la Conferenza delle parti (COP) firmatarie del UNFCCC (2), la Convenzione dell’ONU sull’ambiente siglata nel lontano 1992 da quasi duecento Stati o loro Federazioni, che da allora si riunisce annualmente. Peccato che nel frattempo, l’aumento del 4% del costo della metropolitana di Santiago del Cile (il quarto in ordine di grandezza, nel mondo) abbia dato vita a una vastissima e pacifica protesta di massa, repressa violentemente nel sangue dal Presidente Sebastián Piñera, fratello del Ministro del Lavoro e delle Miniere della dittatura del Generale golpista Pinochet, e lui stesso eletto al seguito di un altro ministro di Pinochet (3). L’ONU il 9 novembre invia una commissione che si accerta della terribile repressione per mano di polizia ed esercito, con violenze su ragazzi e ragazze, torture, oltre a una ventina di morti e un numero impressionante di feriti. Nel frattempo, anziché consentire che lo svolgimento della Conferenza mantenesse l’attenzione dei media su quanto stava accadendo preferisce spostarla a Madrid. Un mese dopo, esattamente il 9 dicembre, durante il suo svolgimento, si cancellano dal testo in preparazione tutti i riferimenti ai diritti umani (4). Il legame tra emergenza climatica ed emergenze sociali è invece ampiamente provato e lo afferma la stessa coordinatrice del Comitato Scientifico di COP25, Maisa Rojas, parlando della crisi sociale in Cile come strettamente connessa alle problematiche ambientali, quali l’estrattivismo delle miniere e la devastazione delle foreste. Già nel 2016 in occasione del COP22 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva rilevato che i migranti per cause legate all’ambiente erano due volte quelli associati a conflitti e violenze (5). Si tratta di sopravvivenza e si va a sommare alle conseguenze sociali di modelli di sviluppo che fanno pagare tutto ai più deboli e aumentano in misura sempre più insopportabile il divario tra ricchi e poveri. Il Cile ne è un esempio, il PIL è aumentato, ma si tratta di una media statistica che nasconde il divario con una povertà crescente. Non a caso, come già in Francia con i Gilet Gialli, insorti nel maggio 2018 a causa di una tassa “ecologica” sul carburante, anche in questo caso è un aumento che incide sui costi della mobilità casa lavoro studio a far insorgere le popolazioni. Metodi di misurazione del benessere in alternativa all’uso del PIL come indicatore, e infrastrutture per una mobilità pubblica gratuita sono due pilastri della proposta che DiEM25 fa nel suo Green New Deal for Europe (6). Intanto, spostata a Madrid, la Conferenza si è svolta tenendo fuori e lontani tutti i movimenti sociali di protesta, a cominciare dagli indigeni giunti dal Cile (7).  Una dimostrazione di arroganza che non ha fermato mezzo milione di dimostranti giunti da tutto il mondo e che una mattina hanno impedito l’inizio dei lavori. Una protesta più che giustificata visto che gli stessi coordinatori, Sabato 14, a fronte di una proroga di due giorni per giungere alla conclusione, di una ipotesi di proroga a giugno a Bonn per una COP25 bis, e persino di schiaffi diplomatici come gli incontri a porte chiuse delle più grosse potenze, per escludere i paesi più a rischio come le Isole oceaniche che rischiano di finire sommerse per l’innalzamento dei mari, hanno alla fine gettato la spugna dichiarando che ogni tentativo di prolungamento dei lavori sarebbe risultato inutile (8).
 
Un fallimento tanto più significativo se si pensa che quest’anno, la Conferenza rivestiva particolare importanza, avendo come obiettivo non solo quello di portare all’attuazione l’Accordo di Parigi, varato il 12 dicembre 2015 al termine della COP21, ma a detta dello stesso Segretario delle Nazioni Unite quello di aumentare di ben 5 volte i suoi impegni (9). Impegni per i quali ci erano voluti ben quattro anni, dal 22 aprile 2016 al 22 maggio 2019, solo per raccogliere la ratifica delle 197 adesioni (10). L’ultimo atto formale era stato quello del piccolo stato arabo dell’Oman, una monarchia famigliare che dopo aver prosperato sui suoi giacimenti petroliferi, portati alla luce nel 1964, da due decenni è stata anche benedetta dalla scoperta di uno dei più grandi depositi di gas naturale. Stiamo parlando della causa principale dell’attuale emergenza climatica, i combustibili fossili, di cui si dovrebbe invece interrompere il consumo. In natura l’energia solare raramente si produce in fiamme, bruciando materia. Il fuoco è stato invece fondamentale per l’evoluzione della specie, ma da tre secoli con la rivoluzione industriale la combustione ha assunto proporzioni sempre più crescenti. Questa è la causa principale di quell’aumento di CO₂ che ha cambiato la composizione chimica dell’atmosfera, producendo l’effetto serra e con esso l’innalzamento della temperatura. Tra i principali combustibili, oltre al petrolio e al gas naturale, il primo a segnare l’inizio della rivoluzione industriale fu il carbone, ma nemmeno sulla riduzione del consumo di questo si è giunti a un accordo a Madrid. Una tragica coincidenza vuole anche che in Cina, uno degli Stati più dipendenti dal carbone, nel giorno del fallimento della COP25 si sia consumata l’ennesima tragedia, dopo quella del 19 novembre, ancora con decine di operai che muoiono o affogati o bruciati vivi. Mentre scrivo arriva notizia di un altro incidente (11), l’uno dietro l’altro, ed è una lunga catena di orrori che si sussegue da anni, nel silenzio ovviamente dell’opinione pubblica internazionale.
 
D’altro canto è sempre il carbone quello che viene estratto nel cuore della stessa Europa, in Polonia, a Turów, in quell’impianto classificato tra le cinque centrali a più alto impatto di CO₂ nel vecchio continente. Lo stesso impianto che oltre a contribuire all’aumento del gas serra nelle città d’Europa priva intere aree regionali di acqua, come accade in quelle confinanti della Repubblica Ceca. Eppure, anche su questo, non ci risulta che il tanto sbandierato Green Deal di Ursula von der Leyen preveda alcunché di concreto. Anzi, presentato con grande risonanza al Consiglio Europeo del 12 e 13 dicembre (12), ha trovato il veto proprio della Polonia, che ha persino chiesto di posticipare al 2070 la scadenza già dilazionata al 2050 dell’emissione zero. Inutile nascondere che, nonostante il prezzo enorme da pagare in termini di morte e di malattie per chi lavora nelle miniere e per chi ci vive vicino, per un paese dove l’80% dell’elettricità e il 60% dell’energia viene dal carbone, con un totale di 85.000 posti di lavoro, che senso può avere decarbonizzarsi se poi bisognerà dipendere da altri paesi suoi produttori, come la Cina, l’India e gli Stati Uniti, che di certo non lo faranno (13)? Bisognerebbe avere delle alternative, e anche per questo il miliardo di investimenti previsto dal Green Deal della UE risulta del tutto insufficiente. Il Green New Deal for Europe proposto invece da DiEM25, con il contributo di movimenti quali lo stesso Fridays For Future o Extintion Rebellion, ne prevede dieci volte tanto. Si propone inoltre di farlo non aumentando il debito di questo o quel paese, bensì attraverso l’acquisto di Bond europei, ossia agendo proprio su quei meccanismi finanziari che sono il principale motore dello sfruttamento delle risorse naturali di combustibili fossili. In questo modo, spalmando l’azione in dieci anni, si anticipa al 2030 la decarbonizzazione e contemporaneamente si colpisce alla radice il problema: la speculazione sulle fonti fossili. Una rete finanziaria che coinvolge tutti gli istituti di credito europei, con l’italiana UNICREDIT che spicca in Europa con interventi su carbone e gas per 67 miliardi di euro ed è al primo posto per il carbone, con investimenti in Polonia, in tutta l’Europa dell’Est e in Turchia, dove finanzia un ente di stato esentato da ogni normativa per l’obsolescenza degli impianti e sull’orlo della bancarotta. Le Banche sono il primo motore dell’industria fossile e a nulla servono le esortazioni o i semplici incentivi del Green Deal verso il finanziamento sulle risorse rinnovabili. Lo dimostra il sostegno pubblico che, in modo diretto o indiretto, viene dato dagli Stati al settore fossile. A livello globale parliamo di 300 miliardi di dollari, di cui 18,8 miliardi di euro vengono dall’Italia in forma di sussidi al consumo e alla produzione (14).
 
Servirebbe un drastico cambio di rotta. Invece con la COP25 (di cui la UE è parte insieme ai suoi Paesi membri) vengono cancellate anche le promesse. Quello di Ursula von der Leyen era l’unico piano che tentava di attuare l’Accordo di Parigi. Se guardiamo alle grandi potenze, troviamo la Federazione Russa che nel recepirlo solo il 7 ottobre 2019 già precisava che considerava “inaccettabile l’uso dell’Accordo e dei suoi meccanismi come strumenti per creare ostacoli allo sviluppo sociale ed economico”. Il colpo di grazia lo hanno dato però gli Stati Uniti con il Presidente Trump che già a giugno annunciava di uscire dal trattato (15), per confermare il 4 novembre di recederne esattamente tra un anno, nel 2020. Una decisione che ha fatto da apripista per gli altri paesi ostili, quali Brasile, Arabia Saudita, India e Giappone. A questi, in specie dopo la prossima uscita definitiva dall’Unione Europea, va aggiunto il Regno Unito di Boris Johnson. La decisione degli USA porterà probabilmente molti di questi e altri ancora a far cadere le loro adesioni. Resterebbe il solo impegno di Unione Europea e Cina a rendere irreversibili gli accordi di Parigi del 2015. Abbiamo visto in cosa si traduce questo impegno per l’Unione Europea, ma per la Cina siamo all’ennesimo paradosso. Nel periodo da gennaio 2018 a giugno 2019 la sua produzione di energia dal carbone è aumentata di 42,9 Gw, mentre nello stesso periodo, nel mondo, diminuiva di 8,1 Gw (16). In comune con l’Unione Europea sembra esserci solo l’idea di dare incentivi, per finalità esclusivamente di profitto, a imprese “green”. Nonostante ciò, nel 2019 la Cina ha anche tagliato del 40% i sussidi per l’energia solare.
 
Nel frattempo la comunità scientifica prende atto che le sue previsioni dovranno essere aggiornate, ma in difetto. Negli Accordi di Parigi (COP21 del 2015) ci eravamo dati 15 anni per portarle a zero, mentre oggi le previsioni dicono che la soglia dell’aumento globale della temperatura oltre 1,5 °C potrà essere superata già nel 2040 e questo significa che il 2030 sarebbe già troppo tardi. Dopo la COP25 possiamo dire che vogliamo correre verso la catastrofe. E se il prossimo appuntamento, per riavviare le trattative tra le parti, è previsto dal 9 al 19 novembre 2020 a Glasgow (UK), dove si svolgerà la COP26, sarà compito di tutti i movimenti e le comunità che vogliono fermare il cambiamento climatico confrontarsi sulle strategie di lotta da adottare. Bisognerà chiedersi come mettere in ginocchio i Governi e costringerli all’azione. Probabilmente anche l’attenzione mediatica potrà subire un cambio di rotta, per non parlare di eventuali provocazioni per screditare i movimenti. Si consideri che la sola lobby delle compagnie del petrolio e del gas spende complessivamente 200 milioni di dollari l’anno per controllare, ritardare e bloccare qualsiasi accordo vincolante sul clima. Di contro sono gli stessi enti di ricerca, come la NASA con i suoi rilevamenti satellitari, a confermare le peggiori previsioni e il legame con l’attività umana di questi cambiamenti. È notizia di questi giorni che la grande maggioranza delle previsioni passate, da oltre cinquant’anni e con strumenti e modelli meno raffinati di oggi, sono confermate (17). La climatologia non sta sbagliando e può anche confermare il nesso causale con le attività umane contestato dai negazionisti, che farebbero del cambiamento climatico un evento naturale non arrestabile. Questa ipotesi è smentita dagli stessi errori di calcolo delle passate ricerche. Errori che sono, infatti, dovuti unicamente alla impossibilità di prevedere fattori politici, quali la decisione di vietare definitivamente nel 1990 la produzione di gas CFC, che avevano reso catastrofiche per i nostri giorni le previsioni sul buco nell’ozono. Il buco nell’Ozono si è invece gradualmente ridotto e si prevede la sua chiusura nel 2050. Evidentemente le decisioni politiche hanno un ruolo vitale per la nostra sopravvivenza. Esemplare a questo proposito il rapporto congiunto delle Università dell’Oregon, di Sydney e di Tufts per l’Alliance of World Scientists, sottoscritto da ben 11.258 scienziati e scienziate di 153 nazioni (tra cui più di 250 dall’Italia), provenienti da ogni continente, intitolato “World Scientists’ Warning of a Climate Emergency” e pubblicato sulla rivista BioScience (18). Nel documento ci sono dati illustrati da grafici di estrema chiarezza che mostrano tendenze sociali, economiche, ed ecosistemiche, quali la crescita della popolazione, i consumi energetici, le emissioni globali di CO₂, il prezzo del carbone, i sussidi ai combustibili fossili, la produzione pro capite di carne, o i trasporti aerei. Occorre mobilitarsi anche per rendere questi dati accessibili a tutti, contrastando la narrazione del sovranismo e del negazionismo (19). Di nuovo, come nel ’68, le nuove generazioni sono al centro di questa rivoluzione culturale, nel mondo. Questa volta il cambio di mentalità e stili di vita non è però davvero sufficiente. L’Italia, con il Ministro Sergio Costa, ha ottenuto di far precedere il COP26 da un appuntamento a Milano con i giovani di tutto il mondo e uno dedicato in particolare all’Africa (20). I movimenti non dovranno mancare! E dovranno portare in Scozia la mobilitazione, perché non si crei il luogo della retorica eccessiva (Milano preCOP e COP-giovani) e il luogo dei fatti mancati (Glasgow COP26). Occorre per questo che la mobilitazione diventi popolare oltre che di massa, e questo potrà succedere solo se renderemo evidente il nesso tra clima e giustizia sociale, facendo capire che una strada per evitare la catastrofe c’è: cambiare sistema e non il clima.
 
Angelo Amoroso d’Aragona Ala Elettorale DiEM25 Italia e coordinatore DSC Bari2
 
Fonti consultabili:
1) https://www.adnkronos.com/soldi/economia/2019/12/15/greta-cop-fallimento-non-arrendiamo_bEuju0B6zOmbZzsdc5qZpJ.html
2a) https://unfccc.int/
2b) https://unfccc.int/process/bodies/supreme-bodies/conference-of-the-parties-cop
3) https://it.wikipedia.org/wiki/Sebasti%C3%A1n_Pi%C3%B1era
4) https://www.lifegate.it/persone/news/cop25-diritti-umani
5a) http://www.osservatorioagr.eu/i-cambiamenti-climatici-pesano-piu-delle-guerre-nei-flussi-migratori/
5b) https://www.ilpost.it/2019/09/21/migranti-climatici/
6) https://www.gndforeurope.com/
7) https://www.riusa.eu/it/notizie/2019-movimenti-sociali-cop25.html
8) https://www.repubblica.it/esteri/2019/12/14/news/madrid_cop25_fallimento_vertice_clima-243506842/
9) https://extinctionrebellion.it/notizie/2019/12/12/Guterres-impegni-Parigi-non-bastano-vanno-aumentati-5-volte/
10) https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=XXVII-7-d&chapter=27&clang=_en#4
11) https://www.askanews.it/esteri/2019/12/17/cina-esplosione-in-miniera-di-carbone-almeno-14-morti-top10_20191217_065018/
12) https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it
13a) https://www.internazionale.it/reportage/marina-forti/2018/04/16/carbone-polonia-generali-italia
13b) https://it.euronews.com/2018/12/21/polonia-il-paradosso-delle-miniere-di-carbone-solidarnosc-katowice-cop-24-inquinamento
14) https://valori.it/italia-amica-delle-fossili-gli-aiuti-di-stato-valgono-188-miliardi/
15) https://www.repubblica.it/ambiente/2017/06/01/news/usa_trump_clima_ambiente-167001939/
16) https://www.qualenergia.it/articoli/in-cina-era-carbone-e-carbone-sara-carbone/
17a) https://www.focus.it/scienza/scienze/i-modelli-climatici-sono-affidabili
17b) https://www.rainews.it/tgr/rubriche/leonardo/index.html?/tgr/video/2019/12/ContentItem-52fcd2d7-e674-4f21-bb74-8ec912466a52.html
18) http://www.greenreport.it/news/clima/lavvertimento-degli-scienziati-il-pianeta-terra-sta-affrontando-unemergenza-climatica/
19) https://habitat.thevision.com/negazionismo-clima
20) http://www.governo.it/it/articolo/cop26-sostegno-del-gruppo-regionale-onu-candidatura-di-regno-unito-e-italia/12753

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