Non resteremo a guardare

Lo scioglimento delle Camere e l’indizione delle elezioni politiche non hanno risolto il problema vero che attanaglia la difficile fase che attraversiamo: la crisi climatica, la crisi sociale e la crisi democratica. Anzi, l’accelerazione impressa al processo elettorale dai politici eletti ha un effetto conservativo voluto.

La narrazione secondo la quale il governo Draghi fosse un governo tecnico di unità nazionale (l’ennesimo!), necessitato dagli oneri imposti dalla gestione della fase post-pandemica (post, per legge) e del Recovery Fund, non può essere avallata, poiché impedisce di svelare l’effettivo orientamento degli interventi governativi.

L’incapacità di far fronte alla crisi energetica causata dalla guerra mediante interventi che realmente imprimessero una svolta ecosostenibile ne è la cartina di tornasole. Si è fatto ricorso a politiche vetuste e sperimentate, ad accordi internazionali basati su l’approvvigionamento di fonti fossili – che peraltro hanno solo aggirato gli interrogativi etici e politici posti dagli eventi bellici in atto, preferendo un regime all’altro senza l’esercizio dello spirito critico che ci si sarebbe dovuti attendere.

Si è persa – per il momento – l’occasione di utilizzare i fondi accordati all’Italia dall’Unione Europea (a caro prezzo, atteso che – com’è noto – la maggior parte di essi sono a debito) per disporre gli investimenti infrastrutturali necessari a una reale transizione energetica.

Alla fine, dunque, il patetico teatrino tirato in piedi in meno di due settimane per creare in maniera goffa un casus belli plausibile per l’opinione pubblica, ha dato i suoi frutti: il Governo “del migliore”, ha retto poco più di un anno grazie a un’imbarazzante maggioranza ed ha già terminato il suo corso e a distanza di qualche giorno tutti i protagonisti hanno ammesso: era già tutto pronto, si aspettava solo il momento giusto per far saltare il tavolo.
La fase elettorale che sta traghettando il Paese verso il rinnovo di un Parlamento menomato è stata resa blindata subendo un’accelerata nei tempi che determineranno una dolorosissima serie di strappi istituzionali inediti per la nostra storia.

Per la prima volta, infatti, stiamo affrontando una campagna elettorale settembrina per un voto in autunno. Un voto di corsa, per poter avere un parlamento ed un governo insediati in tempo per votare la finanziaria, e poco male se per via della fretta restano calpestati i diritti democratici di partecipazione al voto degli italiani all’estero o di partecipazione alla competizione elettorale per chiunque non sia già in parlamento: meno di 3 settimane per formare liste, raccogliere un numero enorme di firme, certificarle e attendere fiduciosi la collaborazione degli uffici elettorali dei comuni italiani (che già in occasione dei referendum andarono in tilt), è un’impresa che pochissimi sono riusciti eccezionalmente a compiere.

La responsabilità di questa situazione è ascrivibile a tutte le forze che siedono in Parlamento e che non hanno posto con la necessaria forza, dentro e fuori di esso, la realtà delle questioni sulle quali si schianta ogni mese la nostra democrazia: l’aumento della povertà, la riduzione delle garanzie, l’allargamento della forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o nulla.
Peccato che dopo ogni campagna elettorale, almeno degli ultimi 15 anni, siano tutti a riempirsi la bocca con parole preoccupate per la bassa affluenza, per poi ritrovarsi una situazione del genere che è uno schiaffo alla partecipazione democratica e dimostra una volta in più la visione ombelicale della politica e il suo totale disinteresse verso uno stato disastroso in cui versa una porzione sempre maggiore dei nostri concittadini.

Questo non è “il Paese al voto”, questo è un regolamento di conti interno al Parlamento per ridefinirne gli equilibri, mentre fuori il Paese muore.

Già li sentiamo gli appelli al “voto utile“ per creare un fantomatico argine alle destre, utile solo a mantenere dirigenze fallimentari di altrettanto fallimentari progetti politici, buoni solo per una stagione e che hanno perso ogni credibilità. Non ci facciamo illusioni sul governo che verrà (non c’è alternativa, al peggio, purtroppo).

Il momento storico è grave e la democrazia è a rischio: vero, però anche basta! Fin dagli inizi degli anni novanta con la crisi della Lira lo sentiamo dire, passando per il pericolo del paramafioso Berlusconi, ai rozzi agitator del M5s, al pericoloso razzista Salvini, oggi alla fascista Meloni: tutti però creati dalla stessa mano: i partiti dell’establisement, Pd in testa, che – come ha giustamente detto Yanis Varoufakis – è tuttaffatto un partito moderato, ma estremista nell’accettare acriticamente le scelte europee e facendo accordi con chiunque, ovunque: dal parlamento ai consigli comunali. 

Sappiamo di essere tutti in drammatico ritardo. Negli ultimi due anni abbiamo sperato che le parole che hanno accompagnato l’Europa nella pandemia trovassero espressione in capacità di rappresentanza. E invece col “governo dei migliori” venivano uccisi lavoratori nei picchetti, arrestati sindacalisti per associazione a delinquere, tenuti sotto il giogo della miseria e precarietà milioni di italiani lavoratori e non, trascinati verso la povertà gli altri che vedono il proprio potere d’acquisto calare inesorabilmente da 30 anni, lasciati morire grazie ad una sanità in ginocchio ed una lotta al cambiamento climatico ignorata e ridicolizzata.

C’è un intero Paese in tumulto, stanco di giocare ad un gioco truccato in cui il banco vince sempre, pronto a portare l’opposizione a questa pazzia nelle strade e nelle piazze, stanco di non trovare più rappresentanza in un ceto politico e mediatico che si è da tempo dimenticato di loro.

Noi risponderemo Parlando di cose serie  con una proposta al giorno per tutta la campagna elettorale, per ricordare quanto lunari siano i discorsi pubblici in campagna elettorale e facendo 30 proposte per migliorare la vita dei nostri concittadini. Non tutte di uguali importanza, ma tutte parte del nostro programma di Diem25 per l’Italia frutto del lavoro dei nostri iscritti ed esperti.

Teneteci pure – per ora-  lontano dal parlamento: ci riprenderemo le piazze, come il prossimo 5 novembre insieme ad una miriadi di sigle del paese reale che non si rispecchiano più in questo teatrino ( www.5novembreinpiazza.it ). 

Quel Paese ci troverà pronti, ancora una volta. Ci troverà numerosi, sempre di più.
Ci troverà agguerriti come non mai e non più disposti ad accettare questa farsa.

 

Gruppo di coordinamento Diem25 in Italia

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