Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte

Il periodo che stiamo vivendo non è certamente dei più tranquilli, per usare un eufemismo.
Crisi finanziarie, seguite da due anni di pandemia (non ancora finita), una guerra nel cuore d’Europa (ben lontano dall’essere finita), crisi climatica sempre più devastante e una crisi economica che deve ancora raggiungere il suo apice tra inflazione e salari.
Eppure in Italia l’unica cosa che sembra importare e agitare le nostre classi dirigente è questo patetico teatrino interpretato da protagonisti mediocri, poco lungimiranti e poco capaci di portare il nostro Paese fuori da una situazione sempre più drammatica.

Da un lato l’addomesticato Movimento 5 Stelle che dopo una fase di pragmatismo incredibilmente poco redditizio che li ha portati a firmare l’assegno in bianco del supporto a questo governo Draghi (dopo l’altrettanta incredibile esperienza del governo gialloverde) a pochi mesi dal fine legislatura vengono folgorati sulla via di Damasco e riscoprono dignità e valori quanto basta per riposizionarsi all’opposizione (o all’appoggio esterno), spaventati forse più dalla scissione di DiMaio e alla disperata ricerca di un casus belli per non giungere al voto da partner attivi di questa sciagurata coalizione.

Difficile capire cosa si aspettassero da un governo in cui la loro delegazione era – per usare un eufemismo – non certo di peso e la “vittoria” più grande e sbandierata doveva essere quella dell’istituzione di un Ministero per la Transizione Ecologica, poi furbamente assegnato a Cingolani, che ha raggiunto posizioni che rasentano il negazionismo climatico ed in costante lotta con “l’ecologismo ideologico”. Così come la difesa (fallita) di quei pochi provvedimenti di peso varati precedentemente che sono rimasti incessantemente sotto attacco da tutte le parti, dentro e fuori il governo, fino ad essere quasi definitivamente cancellati.

A fronte di una scissione continua che ha visto i propri eletti finire in pressochè ogni gruppo del Parlamento, il bilancio finale di un progetto politico che doveva incarnare la rabbia sociale ed ha finito per addomesticarla e renderla inoffensiva, non può che essere drammaticamente negativo.

Dall’altro lato abbiamo Mario Draghi, il nuovo unto del Signore, che ha posto fin da subito la clausola per accettare l’incarico della partecipazione grillina – chissà perchè, visto che di obiettivi in comune non ce ne erano nè ce ne sono mai stati. Doveva essere un governo di unità nazionale ma nessuno si è posto troppi problemi nel lasciarne fuori Fratelli d’Italia (evidentemente portare la Meloni oltre il 23% non è una così brutta notizia per molti). Comprensibile che chi, come Draghi, si apprestava a ripercorrere le orme del suo predecessore tecnico Mario Monti, si sia premurato di non ripeterne gli stessi errore dando ossigeno e benzina ad un Movimento che proprio nell’opposizione a quell’esecutivo è esposo sulla scena nazionale. Evidentemente controllare e traghettare verso la propria fine politica i 5 Stelle era e resta un obiettivo talmente importante da far valere la pena sacrificare il proprio governo e mettere a rischio il PNRR, come ha sottolineato il ministro D’Incà.

Gli altri sono attori minori, ma non per questo meno interessati ai tornaconti elettorali di questo teatrino. Fratelli d’Italia dichiara terminata la legislatura per tentare di capitalizzare al massimo sondaggi a loro favorevoli, i partitini “moderati” spingono per un draghi Bis sostenuto solo da governisti neoliberisti certificati, prossimi componenti di una coalizione di centro. La lega divisa a metà tra queste due tattiche, tra il desiderio di tornare a gridare governo ladro per paura di essere totalmente fagocitati dall’estrema destra e chi vorrebbe continuare ad “amministrare” l’immensa mole di soldi derivante dalle misure d’emergenza.

Infine il PD, tutt’altro scevro da responsabilità, come ricorda il suo senatore Cerno, per metà timoroso di perdere le redini sul Movimento che gli permettevano uno stretto controllo sulla competizione a sinistra e di renderli corresponsabili e correi della dissoluzione delle stesse politiche che loro avevano messo in atto, per metà ansioso e fremente di scoccare il colpo finale ai tanti odiati “populisti” che ricordavano quotidianamente quando grave fosse il loro tradimento verso i lavoratori e l’ambiente di cui si facevano bandiera qualche anno fa.

Tutto intorno a questo triste teatrino, il Paese brucia. Metaforicamente e letteralmente.

Non uno dei succatati attori sembra avere minimamente a cuore le esigenze di un Paese che sta attraversando un periodo sotricamente doloroso, come ricorda il Rapporto INPS appena uscito. Incremento delle disuguaglianze nel mondo del lavoro legate al genere e all’età, pensioni destinate a essere sempre più povere senza un’inversione di tendenza, l’impatto devastante di pandemia e guerra in Ucraina, aumento dei lavoratori poveri, uniti a siccità, stato d’emergenza climatica continua.

Dopo i migranti, la pandemia, la guerra, i nostri giornali hanno trovato un nuovo argomento per riempire le prime pagine e parlare d’altro mentre i problemi quotidiani degli italiani restano senza soluzione.
Giorno dopo giorno le falle in questo sistema si spalancano sempre di più per inghiottire sempre più cittadini, italiani ed europei, mentre nessun rappresentante politico si sogna minimamente di metterne in dubbio le basi ideologiche, che giorno dopo giorno risultano sempre più evidenti e palesemente errati.
Per questo nella società lo scontento e la disperazione sta maturando sempre più in uno stato di agitazione necessaria, con sempre maggiore sfiducia verso questa politica e pronta a ritornare in lotta alla ricerca di una degna e legittima rappresentazione che possa permettere un vero cambio di rotta.
L’unica e ultima possibilità per non finire definitivamente nel baratro, mentre chi è al timone di questo Paese continua a pensare ad altro.

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