Labourers queue for work at the London docks in 1931. Photograph: Fox Photos/Getty Images

Stiamo vivendo una nuova “epoca di Weimar”? Lezioni dal passato e propositi costruttivi per il nostro futuro

L’ormai tristemente nota “Marcia per l’indipendenza”, tenutasi a Varsavia l’11 novembre scorso ha posto nuovamente in primo piano la possibile analogia tra la crisi sistemica odierna e quella degli anni trenta. Alcuni studiosi sostengono che questo parallelismo, rischi di favorire una lettura conservatrice dell’attuale crisi economica e politica, secondo la quale, la minaccia che grava sulle nostre società democratiche si troverebbe proprio nel demos che le costituisce. Ciononostante, non è tanto l’analogia in sé a essere problematica, quanto la maniera in cui essa è declinata: le proposte di DiEM25, come, ad esempio, quella riguardante il New Deal Europeo, sono precisamente la dimostrazione che dal passato si possano imparare delle lezioni utili per il nostro presente e futuro. L’occasione delle prossime elezioni europee saranno per DiEM25 il momento consono per tradurre queste proposte in azione.


Come riportato dai media di tutto il mondo, decine di migliaia di nazionalisti d’estrema destra  hanno riempito le strade di Varsavia nel giorno dell’Indipendenza Nazionale della Polonia. Alcuni manifestanti hanno esibito vecchi simboli fascisti e intonato slogan come “Vogliamo Dio”, “Europa bianca di nazioni sorelle”, “Cacciate gli ebrei dal potere”. Una tale marcia è il chiaro segno del fatto che l’Europa stia affrontando una seria minaccia, rappresentata dalla crescita di movimenti d’estrema destra. Tale minaccia è stata fino ad oggi sottovalutata, se non del tutto ignorata, sia dall’ala conservatrice che da quella liberale dell’establishment. Inoltre, l’ascesa delle estreme destre non può essere ridotta a mero sintomo della supposta immaturità delle democrazie dell’Europa orientale, dal momento che anche quelle dell’Europa occidentale non si sono mostrate immuni a questa stessa minaccia. Simili exploit elettorali e politici sono indubbiamente legati, alla crisi economica iniziata nel 2008, dall’altra, alla crisi di legittimità che, negli ultimi anni, sta minando i fondamenti stessi delle democrazie liberali moderne. Sorge spontano porsi alcune domande: “stiamo forse rivivendo gli anni ‘30”? Nel qual caso, in che senso una tale analogia storica può rivelarsi corretta?
DiEM25 è un movimento fondato sul presupposto che la progressiva disintegrazione dell’Unione Europea rischi di ricacciare il nostro continente proprio in quel periodo oscuro della sua storia. Una simile analisi sembra ormai divenuta un luogo comune, dal momento che commentatori, studiosi e politici hanno cominciato a farne largo uso. Molti sostengono, ad esempio, che l’elezione di Donald Trump avrebbe condotto gli Stati Uniti in una sorta di “periodo di Weimar” della loro propria storia. Nondimeno, come osservato da Daniel Bessner e Udi Greenberg sul Jacobin Magazine, analizzare il periodo che stiamo vivendo “attraverso le lenti della Repubblica di Weimar si accompagna dunque a un rischio notevole”, visto che un tale atteggiamento potrebbe alimentare delle risposte elitiste e tecnocratiche alla crisi, fondate sul presupposto che “la sopravvivenza della democrazia dipenda dalla restrizione del potere popolare e dalla costituzione di un’élite burocratica e non eletta, protetta dal controllo pubblico”.
Un tale presupposto è chiaramente espresso nel saggio breve, scritto da Andrew Sullivan, sulle ragioni per cui l’America sarebbe matura per una tirannide. In questo saggio, Donald Trump è dipinto come un tribuno pseudo-fascista, il cui successo sarebbe da imputare al venir meno delle “ampie e solide barriere fra la volontà popolare e l’esercizio del potere” che erano state erette dai Padri fondatori, nonché alla frustrazione inflitta alla classe operaia bianca americana dalle rivendicazioni eccessive delle “minoranze”. Invece di mettere in luce i pericoli causati dall’ascesa di movimenti neofascisti, questa lettura conservatrice dell’analogia del “ritorno degli anni ‘30” finisce dunque per amalgamarli con ogni altra espressione di scontento nei confronti dello status quo. Inoltre, una tale analisi dimostra essere scientificamente scorretta e di conseguenza, fuorviante da un punto di vista politico.

Da Hitler e Mussolini a Arendt e Marx

Prima di tutto, storicamente, il regime nazista non può essere considerato come il risultato di un “eccesso di democrazia”, giacché Adolf Hitler non ottenne mai una maggioranza assoluta nelle urne. La sua salita al potere non sarebbe stata possibile senza il supporto delle élite conservatrici tedesche, che erano disposte a servirsi della sua figura e del suo partito come estrema ratio contro il “pericolo rosso”. Lo stesso può dirsi dell’ascesa di Benito Mussolini in Italia: la Marcia su Roma, che persuase re Vittorio Emanuele III a nominarlo primo ministro, non fu altro che l’apice di una mobilizzazione delle “camicie nere” fasciste contro partiti di sinistra, sindacati e consigli operai. Inoltre, non bisogna dimenticare che il suo primo governo fu un governo di coalizione, che includeva “dei nazionalisti, due ministri fascisti, dei liberali e persino…due ministri cattolici provenienti dal Partito popolare”. In secondo luogo, una tale interpretazione dell’analogia weimariana enfatizza in maniera eccessiva il supporto di massa di cui godono i movimenti neofascisti e d’estrema destra. La minaccia rappresentata da tali movimenti consiste non tanto nella loro forza elettorale e militante, quanto nel fatto che le loro idee “si stanno infiltrando nel mainstream”, trascinando a destra l’intero spettro politico.
D’altronde, come osservato ancora una volta da Bessner e Greenberg, il pensiero che soggiace a questa interpretazione dell’avanzata del neofascismo rischia d’esacerbare, invece di mitigare, quella stessa minaccia che si propone di fugare: “sebbene la xenofobia e il razzismo restino essenziali per comprendere il fascino del populismo, anche il sentimento che i popoli non possano esercitare alcun controllo sui propri governi e che troppo potere sia concentrato nelle mani d’élite irresponsabili alimenta l’indignazione popolare”. Infine, un tale uso dell’analogia con gli anni ‘30 si concentra esclusivamente sugli aspetti patologici e congiunturali del fascismo, sottostimando invece i caratteri “strutturalmente” fascisti, o persino nazisti, delle nostre stesse società democratiche. Come argomentato da Hannah Arendt ne La banalità del male, esistono delle ragioni assai plausibili per le quali dovremmo temere “una ripetizione dei crimini commessi dai nazisti”, la più importante delle quali è il fatto che le nostre società rendano costantemente “superflui” ampi settori delle loro popolazioni. Per limitarsi a due esempi, da un lato, il progresso tecnologico rischia d’esacerbare quello che Karl Marx considerava come il costo umano della produzione economica “sotto il dominio della proprietà privata”: “la produzione di troppe cose utili produce troppa popolazione inutile”; dall’altro lato, i fattori complessi che stanno causando la cosiddetta “crisi dei rifugiati”, che costituisce in realtà una caratteristica strutturale dell’ordine globale attuale, contribuiscono ulteriormente alla trasformazione d’esseri umani in “cose superflue”, che devono essere redistribuite in maniera “sostenibile”.

Due propositi per il futuro

Dovremmo dunque concludere che ogni analogia fra la nostra condizione e la crisi degli anni ‘30 è destinata a essere fuorviante? Secondo Bessner e Greenberg, le forze progressiste dovrebbero evitare ogni rimando alla Repubblica di Weimar e agli anni ‘30. Dal loro punto di vista, ciò rappresenta una condizione necessaria affinché sia possibile persuadere le persone comuni a rifiutare “la politica tecnocratica e la collaborazione stretta fra il governo e le élite economiche” e, al tempo stesso, costruire “delle coalizioni possibili”, che s’impegnino a mettere in pratica “delle politiche distributive” e a rispondere “ai bisogni dei molti”. Ciononostante, Bessner e Greenberg ignorano le due lezioni principali che tali analogie possono ancora insegnarci. Come prima cosa, sarebbe pericolosamente illusorio contare sul fatto che il collasso totale dell’Unione Europea possa dare vita a un’alternativa radicale e progressista al neoliberismo. Al contrario, un simile trauma non farebbe altro che esacerbare i caratteri strutturalmente fascisti del nostro ordine democratico imperfetto. È proprio per questo motivo, tanto per cominciare, che l’Unione Europea deve essere salvata da sé stessa: “Non per amore del capitalismo europeo, dell’eurozona, di Bruxelles, o della Banca Centrale Europea, ma soltanto perché noi vogliamo minimizzare il costo umano non necessario di questa crisi”.
Infine, la condizione in cui ci troviamo richiede delle soluzioni che devono essere allo stesso tempo audaci e pragmatiche, proprio come le proposte di DiEM25 per un “New Deal europeo”, che combinano le lezioni del New Deal di Roosevelt con la necessità d’affrontare delle questioni pressanti, quali la transizione ecologica e la definizione di un’audace prospettiva “postcapitalistica” per il futuro. Inoltre, queste proposte sono strettamente legate allo sforzo politico d’identificare un “terzo spazio”, oltre l’establishment (sia quello liberale che quello conservatore) e le forze nazional-populiste (che mirano a restaurare un passato mai esistito), al fine d’incoraggiare il controllo e la partecipazione democratici in tutta Europa. Per tutte queste ragioni, si può affermare che non è tanto l’analogia in sé ad essere problematica, quanto la maniera in cui essa è declinata. Nonostante si presti a giustificare delle politiche tecnocratiche, è possibile metterla al servizio di cause democratiche e progressiste.
DiEM25 è un valido strumento di lotta politica con la quale poter trarre delle lezioni dai momenti più oscuri del nostro passato. E’ importante che tali lezioni possano essere trasformate in propositi costruttivi per il nostro futuro. Ora è tempo di prepararsi a tradurre questi propositi in azioni, a partire dalle prossime elezioni europee.
 
Nicola Bertoldi attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca (PhD) sulla storia e filosofia della scienza all’università di Parigi ed è membro attivo di DiEM25.
 
Foto: Lavoratori in fila per lavorare al cantiere navale di Londra nel 1931. Fotografo: Fox Photos/Getty Images.
 

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