PERCHE’ IL TRATTATO EUROPEO DI STABILITA’ E’ UN CASINO
Mess in inglese significa casino e si pronuncia esattamente come l’acronimo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), di cui tanto si scrive e si parla ultimamente.
Un casino di nome e di fatto, in cui è opportuno fare chiarezza sui seguenti aspetti: a) caratteristiche, finalità e limiti del meccanismo; b) cosa c’è nel “pacchetto” e perché è importante il “package approach”; c) per cosa vale la pena battersi.
Caratteristiche, finalità e limiti del Meccanismo – Il trattato intergovernativo che ha introdotto il MES è stato firmato il 2 febbraio 2012 dai governi dell’area euro. All’epoca, la firma è stata apposta, per l’Italia, dal Governo Monti. L’abrogazione del MES non è in discussione, essendo in corso di revisione solo 4 articoli su 48, per modifiche che il Governatore della Banca d’Italia ha definito “di portata complessivamente limitata”.
Per inquadrare il contesto nel quale il MES è stato concepito, va ricordato che nell’ultimo scorcio del 2011 e in gran parte del 2012 i prezzi dei titoli pubblici italiani e non solo avevano subito cali vertiginosi per le ondate di vendita, che incorporavano l’aspettativa o la scommessa di una ridenominazione di quei titoli in una valuta più debole (e i mercati obbligazionari sono caratterizzati – come noto – dalla relazione inversa tra quotazioni e tassi d’interesse). L’ESM (European Stability Mechanism) o il MES è stato quindi introdotto per colmare una delle tante incompiutezze della governance economica europea che prima di quell’innovazione istituzionale, piuttosto irrealisticamente non prevedeva di dover affrontare alcuna crisi. Basti pensare che nel Trattato sul funzionamento dell’UE è vietato qualsiasi intervento pubblico a sostegno dei paesi in difficoltà (grazie alla clausola di no bail out o di non-salvataggio, art. 125 del TFUE). Il MES o fondo salva Stati è stato quindi tardivamente concepito per tutelare l’Unione monetaria dal contagio. E’ stato introdotto per concedere assistenza finanziaria (prestiti, linee di credito precauzionali, acquisto di titoli di stato, ricapitalizzazione delle banche), previa domanda da parte di uno Stato membro, nel caso in cui la situazione dello stesso minacci la stabilità finanziaria dell’intera zona euro e degli altri Stati membri. I prestiti erano e sono concessi in cambio della sottoscrizione di un Memorandum of Understanding (MoU) con il quale lo Stato, che si indebita nei confronti del MES, si impegna ad adottare politiche restrittive (taglio del costo del lavoro, dei servizi sociali, privatizzazioni, ecc.) con l’obiettivo di mantenere i disavanzi e i debiti pubblici entro limiti prudenti; un meccanismo che riduce drasticamente i margini di discrezionalità della politica economica dei “beneficiari”.
Negli anni il MES ha fornito assistenza finanziaria a Cipro, alla Spagna, al Portogallo, all’Irlanda e soprattutto alla Grecia, umiliata da una sorta di colonialismo da indebitamento, ed è stata l’ultimo Paese ad uscire, nell’agosto del 2018, da un programma del MES (a cui segue un controllo post-programma). La teoria secondo cui l’austerità e il cilicio delle riforme strutturali che deprimono la domanda interna siano la strada giusta per mantenere sotto controllo l’indebitamento dei Paesi, si è però dimostrata fallace in più occasioni. In Grecia ha prodotto costi sociali enormi in termini di aumento dei tassi di disoccupazione, emigrazione involontaria, aumento del tasso di mortalità infantile, depauperamento dei sistemi di sanità pubblica, impoverimento della popolazione, aumento delle disuguaglianze. In pratica, il funzionamento del MES ha garantito che, in ultima istanza, a pagare il conto delle tensioni valutarie, dell’azzardo morale della finanza e delle crisi di liquidità sui mercati fossero i cittadini, i salariati, i pensionati, gli ultimi e i penultimi, esacerbando il divario, sotto il profilo macroeconomico, tra le prospettive delle economie forti e quelle deboli. Queste ultime divenendo sempre più ostaggio di che quello che Milton Friedman chiamava il “gregge meccanico”, ossia i capitali internazionali, con gli Stati obbligati ad indossare la “camicia di forza dorata” che offre loro come unica opzione di politica economica il fatto di garantire bilanci in ordine, lasciando al settore privato il conseguimento di un equilibrio generale che non si raggiunge mai.
Emblematico in tal senso è proprio il caso della Grecia, che quando nel 2015 aveva firmato l’ultimo MoU – contro il volere della maggioranza dei suoi cittadini – aveva un rapporto Debito / PIL del 175,6% e a fine “cura” nell’estate del 2018, quando è uscita dal “programma” concordato con il MES, si è trovata ad avere un rapporto Debito / PIL del 181,2%, nonostante tutti i sacrifici affrontati.
Il limite principale del Fondo salva Stati è che a differenza della BCE, non ha la prerogativa di battere moneta, quindi se dovesse scatenarsi uno tsunami finanziario non basterebbe certo un patrimonio di 704,8 mld – qual è la dotazione di patrimonio del MES. A questo se ne aggiungono altri limiti non meno rilevanti:
- Un metodo non democratico e non trasparente che accompagna la gestazione degli allegati tecnici di questa revisione del Meccanismo, nei quali si insinuano le condizioni più insidiose, che sono in gran parte elaborati in negoziati chiusi; a ciò si aggiunge il vincolo del segreto professionale di cui gode il personale del MES nell’esercizio delle proprie funzioni e l’immunità penale, civile e amministrativa di cui godono i vertici, ancor più ampia di quella prevista per la BCE;
- la governance delle crisi finanziarie – che sempre si trasformano in crisi dell’economia reale – è attribuita a quello che Yanis Varoufakis in “Adulti nella stanza” ha definito il “girotondo”. Uno strumento sistemico di controllo sui governi nazionali, fatto apposta per renderli impotenti; il girotondo è efficacemente sintetizzato in un breve passaggio del suo libro: “Un ministro delle finanze che, ad esempio, voglia fare proposte per la ristrutturazione del debito non riesce ad avere il nome di una persona con la quale parlare o un numero di telefono al quale rivolgersi per cui, lui o lei, non sa cosa fare”.
- il terzo limite, riguarda il vincolo della sostenibilità del debito e della capacità di rimborso del beneficiario (che nella proposta di riforma dovrebbe diventare ancor più stringente), come precondizioni per accedere all’assistenza finanziaria precauzionale del MES. Ciò fa del MES un ombrello per quando non piove e evoca la logica punitiva di Schauble secondo cui, nel caso fosse proibitivo per uno Stato rifinanziarsi sul mercato a tassi d’interesse accettabili, la sua assistenza finanziaria andrebbe subordinata automaticamente a una ristrutturazione del debito. Fortunatamente gli automatismi sono stati eliminati dalla proposta di riforma del MES, ma restano tutti i rischi di destabilizzazione sui mercati che potrebbero derivare se una valutazione di non sostenibilità del debito dovesse trapelare dal MES. L’idea di fondo è che la disciplina di bilancio, per i paesi che “non fanno bene i compiti a casa”, debba essere ottenuta accrescendo la probabilità di una crisi finanziaria!
Cosa c’è nel “pacchetto” e perché è importante il “package approach” – La riforma del MES in corso di definizione ha contenuti in gran parte concordati dal governo giallo-verde: nell’Eurogruppo (composto dai Ministri dell’Economia dell’area euro) del 13 giugno 2019 e nel successivo Eurosummit (composto dai Capi di Stato dell’area euro) del 21 giugno 2019, preso atto dell’accordo di massima raggiunto, è stato chiesto all’Eurogruppo di proseguire i lavori, per conseguire un accordo definitivo sull’intero pacchetto nel dicembre 2019 e per dare poi avvio al processo di ratifica negli Stati membri.
Questo percorso è stato prudentemente rallentato. Di questo va dato il merito, non tanto alla sguaiata strumentalizzazione politica della Lega e di Fratelli d’Italia, quanto alle molte riserve espresse da figure competenti quali il Governatore della Banca d’Italia, il CER, l’Associazione Bancaria Italiana e numerosi economisti. Il governo italiano ha sospeso la chiusura dell’accordo e ha respinto l’introduzione di automatismi nei processi di ristrutturazione del debito, oltre ad avere osteggiato l’affidamento al MES di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri che rappresenterebbero una duplicazione delle competenze, già in capo alla Commissione europea.
Nondimeno Il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, ha spiegato che c’è “accordo di principio su tutti gli elementi della riforma” del Mes, incluse le “note esplicative” sulle clausole di azione collettiva (CACs), su cui l’Italia si è battuta. Tra i vari aspetti della revisione questo è sicuramente il più delicato: con le regole attuali (dual limb), in caso di ristrutturazione del debito servono due voti: uno per ogni singola emissione, un altro per l’insieme complessivo del debito per dare l’avvio alla ristrutturazione. Nella proposta di revisione, si volevano riformare le clausole d’azione collettiva con l’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2022, delle clausole d’azione collettiva con approvazione a maggioranza unica (single limb CACs ovvero basta un unico voto – sull’intero complesso di debito emesso – per completare la ristrutturazione, che prosegue anche per chi ha votato no). Rispetto alle clausole d’azione collettiva a doppia maggioranza (dual limb CACs) attualmente previste, le single limb CACs semplificherebbero la procedura per ristrutturare il debito di un Paese, ma l’Italia ha proposto un meccanismo di sub-aggregazione che disarticola gli effetti della votazione unica. In questo caso i titoli di debito verrebbero aggregati per categorie (ad esempio tutti quelli indicizzati all’inflazione, oppure per determinate scadenze) e si procederebbe con un voto per ogni singola categoria. Nel caso in cui una sub-aggregazione non raggiungesse il voto utile per la ristrutturazione questa comunque procederebbe per le altre classi di titoli che hanno avuto voto favorevole, mentre si fermerebbe per quella in cui c’è stata la bocciatura. In questo modo si eliminerebbe il problema insorto a volte con la dual limb: fondi speculativi hanno comprato quote di blocco di singole emissioni compromettendo l’intera ristrutturazione.
Un altro elemento della proposta di riforma riguarda l’assistenza finanziaria precauzionale che sarebbe suddivisa tra la linea di credito condizionale precauzionale (PCCL) e la linea di credito soggetta a condizioni rafforzate (ECCL), con questa seconda aperta ai membri del MES che non sono ammissibili alla PCCL, a causa della non conformità rispetto a criteri di ammissibilità “fiscal compact like” (non essere sottoposti a procedura per disavanzi eccessivi; un deficit inferiore al 3% del PIL; un saldo di bilancio strutturale pari o superiore al valore minimo di riferimento; un rapporto fra debito e PIL inferiore al 60% o comunque in riduzione di 1/20 annuo della parte eccedente il 60% del PIL)., Questo doppio binario potrebbe determinare, di per sé, un aumento del rischio Paese percepito, perché in caso di necessità è evidente che il sostegno finanziario concesso all’Italia si sposterebbe verso il canale “cattivo”, quello subordinato all’accettazione di pesanti condizionalità, che aumenterebbe le probabilità di vera e propria ristrutturazione del debito. E il tutto sarebbe accelerato dalle reazioni dei mercati al valore segnaletico di tale “stigma”, prefigurandosi un serissimo rischio di speculazione al ribasso sui nostri titoli di Stato, destinato ad autoalimentarsi.
Un ulteriore elemento della riforma del funzionamento del MES, prevede la possibilità che il MES presti sostegno al Fondo di risoluzione unico per la gestione delle crisi bancarie, nel caso non abbia risorse sufficienti per finanziare gli interventi di salvataggio bancario da porre in essere. Per questo motivo, si è verificata una singolare specularità nella denuncia dei sovranisti nostrani, che paventano il rischio di sperpero di soldi pubblici per finanziare le banche in Germania, e di quelli tedeschi, che censurano il rischio che con i capitali tedeschi si finanzino banche italiane.
In parallelo alla riforma del MES, corre il percorso dell’ultimo pilastro dell’Unione bancaria, cioè lo schema comune di assicurazione dei depositi (Edis) su cui da anni la Germania pone il veto. Il negoziato si è nuovamente arenato sulla recente proposta del Ministro delle finanze Olaf Scholz che ha vincolato l’approvazione dello schema, all’attribuzione di un coefficiente di rischio ai titoli sovrani; questa condizione implicherebbe automaticamente una svalutazione e uno smobilizzo dei titoli pubblici italiani nei portafogli delle banche, con effetti potenzialmente dirompenti sull’ordinato andamento delle quotazioni.
Per avere pieno potere negoziale è quindi fondamentale non ratificare la riforma del MES fino a quando non sia possibile esprimere una valutazione finale sul combinato disposto dell’intero pacchetto di riforme (MES, Assicurazione depositi e proposta della Commissione europea, collegata alle nuove modalità di cooperazione tra il MES e la Commissione europea, all’interno e all’esterno dei programmi di assistenza finanziaria, su cui deve essere scritto un Memorandum); solo all’esito della dettagliata definizione finale di tutte le varie componenti del pacchetto sarà possibile un giudizio politico su tutte le novità, secondo una logica di equilibrio complessivo, che scongiuri una volta per tutte le misure punitive nei confronti dei Paesi più indebitati e gli automatismi alla ristrutturazione preventiva del debito, espliciti o surrettizi, se questo non è giudicato sostenibile dal MES.
Per cosa vale la pena battersi – E’ necessario approfittare del negoziato sul “package” per mettere in discussione l’intera logica neoliberista che sottende l’architettura economico finanziaria dell’area euro, per superare i meccanismi disciplinanti affidati ai mercati finanziari che spingono i Paesi con alto debito a finanziarsi con titoli junior, che comportano un maggior onere per interessi che a sua volta costringe a un maggiore rigore di bilancio, deprime la crescita e rende l’aggiustamento del rapporto debito PIL una mission impossible.
Firmare una riforma che – con la sua impronta sempre più privatistica e con regole sempre più stringenti per la gestione delle crisi – rischia di innescare una spirale perversa di aspettative di default, che possono dimostrarsi autorealizzantisi, peggiora la situazione. E di effetti destabilizzanti “regulation driven” l’Italia ne ha già stati subiti con la prima sperimentazione in vivo del bail-in, in conseguenza della quale circa 140 mila risparmiatori hanno visto sparire i propri risparmi, per la prima applicazione della direttiva 2014/59/UE in Italia, a seguito del divieto posto al Fondo interbancario di tutela depositi di intervenire in ricapitalizzazione; decisione che ha portato alla “risoluzione” di quattro banche (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara).
Per abbassare la probabilità di una nuova crisi finanziaria, bisogna concedere sostegno creditizio a bassa condizionalità per temporanee esigenze di finanza pubblica e puntare a un rientro del rapporto debito PIL strutturale, non già basato sugli avanzi primari, ma sulla crescita del Pil nominale. L’Italia spende per interessi quasi il doppio di quanto è destinato agli investimenti pubblici. Va rilanciata la domanda interna, agganciandola alla strategia verde dell’Europa, con proposte fondate, concrete e radicali di cambiamento del MES e della politica economica UE, essendo ormai quasi senza munizioni il bazooka monetario:
- La “solidarietà competitiva” è un ossimoro coniato per descrivere l’assetto bifronte del MES che gestisce soldi pubblici, ma si comporta come una normale banca privata. Questo orientamento privatistico ha dimostrato di non essere in grado di facilitare i riaggiustamenti macroeconomici, né di frenare le ondate speculative del mercato, con la conseguenza di esacerbare il debito dei Paesi più indebitati. Per la complementarietà della funzione che il MES svolge rispetto alla BCE, andrebbe valutata la possibilità di fare rientrare in prospettiva le competenze del MES tra le funzioni della BCE, avvicinando così le prerogative della Banca Centrale Europea a quelle della Federal Reserve che ha un dual mandate: non solo quello di mantenere la stabilità dei prezzi, ma anche quello di mantenere il tasso di disoccupazione al di sotto di un certo livello.
- L’esigenza di ritornare su un sentiero di rientro del debito pubblico – precondizione per la stabilità finanziaria e per allontanare i rischi del “colonialismo da indebitamento” – non può continuare a basarsi sul conseguimento di avanzi primari, ma deve puntare su due leve:
- la crescita degli investimenti pubblici per la transizione ecologica, escludendoli dai parametri del patto di stabilità. Servono 500 mld all’anno a livello europeo per i prossimi 5 anni, per uno shock che inverta le lancette dell’orologio dell’ultima estinzione di massa che stiamo attraversando. La transizione ecologica deve diventare la realizzazione in comune, citato nell’articolo 125 del TFUE, proprio quello che sancisce il “non salvataggio” o no bail out; nella seconda parte recita:”… Gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell’amministrazione statale, degli enti regionali, locali o degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico.” Quindi non bisogna neanche cambiare i trattati, serve solo la volontà politica di identificare nella transizione ecologica il comune progetto europeo!
- serve un “safe asset”, le obbligazioni di conversione della BCE, per abbassare il costo del servizio del debito per i paesi più indebitati. Uno strumento emesso dalla BCE sulla base della conversione di titoli sovrani già in circolazione, che dovrebbe aiutare simultaneamente gli Stati e le banche periferiche a superare il rischio d’insolvenza, oltre ad alleviare l’onere dei tassi di interesse negativi per i paesi in avanzo di bilancio; un comune strumento obbligazionario free risk dell’area euro. La sua assenza ha impedito alle banche della zona euro di diversificare in maniera completa il loro attivo, con strumenti di alta qualità e con conseguente maggiore instabilità finanziaria. In mancanza di un tale strumento l’euro non diventerà mai una valida alternativa al dollaro. Il dibattito su un safe asset si sta facendo strada in Europa e Yanis Varoufakis, in un recente articolo pubblicato su Jacobin, ha tracciato i criteri guida per la costruzione di un tale strumento: “…ogni volta che un titolo di Stato della zona euro matura, la BCE emetterà un titolo di conversione con un valore nominale equivalente alla parte del debito pubblico totale dello Stato membro che rientri nei parametri di Maastricht. Lo scopo del bond è quello di servire, a tassi d’interesse bassi che solo la BCE può permettersi, il debito pubblico degli Stati membri conforme a Maastricht – a condizione che gli Stati membri si impegnino a riscattare il bond e a dargli la priorità rispetto a tutti gli altri debiti (presumibilmente soggetti a tassi d’interesse più elevati. Per fare un esempio numerico, se il rapporto debito/PIL di uno Stato membro è pari al 90%, la Bce erogherà in obbligazioni di conversione 667 euro per ogni 1.000 euro di debito pubblico in scadenza. Meno lo Stato membro ha superato il limite del debito di Maastricht, maggiore è la percentuale del suo debito pubblico che sarà coperto con i rendimenti ultrabassi delle obbligazioni della BCE.,,,Si noti inoltre che, oltre a minimizzare i rischi morali, le nuove obbligazioni della BCE soddisfano gli altri tre criteri. La loro emissione non richiede alcun potere discrezionale da parte della BCE, in quanto deriva direttamente dai limiti di Maastricht esistenti. Fornirebbero alle banche della zona euro il bene sicuro mancante di cui hanno bisogno per svezzarsi dalle obbligazioni emesse da governi nazionali spesso deboli (creando nel contempo un bene sicuro per gli stranieri da acquistare con i loro euro). Infine, le obbligazioni di conversione della BCE consentirebbero un rialzo dei tassi d’interesse in paesi in eccedenza come la Germania.”C’è solo da sperare che la caparbia opposizione alla mutualizzazione del debito da parte della Germania renda possibile questa necessaria evoluzione.
- Una politica di seria penalizzazione degli strumenti finanziari più speculativi da inserire negli allegati tecnici del “package” (tecnicamente le attività di tipo 2 e 3 nei bilanci delle banche, di cui le banche francesi e tedesche sono piene), da contrapporre alla provocatoria proposta del ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz sulla ponderazione per il rischio dei titoli di Stato. Diem25 Italia
Volete essere informati delle azioni di DiEM25? Registratevi qui!