«Un dato non soddisfacente». Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito i risultati del voto degli studenti fuorisede alle ultime elezioni europee. Ma la domanda è: di chi è la colpa di questo “dato non soddisfacente”?
Il governo aveva introdotto un sistema sperimentale per permettere agli studenti fuorisede di votare senza tornare a casa. Peccato che il sistema fosse così macchinoso e limitato, da scoraggiare la partecipazione. Solo il 4% degli studenti ha fatto richiesta, e molti di loro avrebbero comunque dovuto spostarsi in un altro comune per votare. Davvero si pensava che funzionasse?
Il Governo non lo vuole per i referendum
E ora, mentre si avvicinano i referendum, il governo non ha intenzione di replicare il sistema. Anzi, scarica la responsabilità sul Parlamento, dimenticando che la maggioranza ha già “smontato” una proposta delle opposizioni per il voto dei fuorisede, trasformandola in una delega al governo. Una mossa che, guarda caso, rimanda tutto alle calende greche.
La verità è che il diritto di voto dei fuorisede non sembra essere una priorità. Eppure, parliamo di quasi 5 milioni di cittadini, tra studenti e lavoratori, che oggi sono costretti a scegliere tra perdere un giorno di lavoro o studio per votare o rinunciare a un diritto fondamentale.
Serve una soluzione seria e inclusiva, non annunci e promesse vuote. Il diritto di voto non è un optional, è un pilastro della democrazia.
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