Buon Apocalisse! Una conversazione tra Srećko Horvat e Gael Garcia Bernal

Cosa possiamo imparare dalla lotta ai cambiamenti climatici e qual è il vero ruolo dei social network? Perché è nata DiEM25? Quale significato dobbiamo dare al concetto di “sopraliminare” del filosofo tedesco Günther Anders teorizzato dopo le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki? L’attore messicano Gael García Bernal e il “nostro” Srećko Horvat ne hanno parlato alla 35° Feria International del Libro de Guadalajara, la più importante fiera letteraria dell’America Latina lo scorso novembre. A Guadalajara, tra l’altro città natale di García Bernal, è stato presentato l’ultimo libro di Srećko, lì edito in spagnolo come Después del apocalipsis da Katacrak. La trascrizione della conversazione è interessante anche per i membri italiani di DiEM25 nell’attesa della pubblicazione anche nel nostro paese di After the Apocalypse. L’originale della presentazione in spagnolo è disponibile sul canale YouTube FIL Guadalajara a questo link

 

Gael García Bernal: Ciao Srećko e benvenuto a Guadalajara. È una sorta di sogno il fatto che noi due possiamo scambiarci opinioni qui in Messico. Srećko ed io ci conosciamo da molto tempo. Avevo sentito parlare di lui da un amico, poi improvvisamente mi sono imbattuto nel suo libro La Radicalità dell’Amore in una libreria. A pagina 80 Srećko mi cita, lì scrive del film I Diari della Motocicletta, di come incarno il giovane Che Guevara. Ho sentito subito di doverlo incontrare. Così l’ho contattato tramite Twitter e da lì è nata un’amicizia e oggi ci permette di collaborare insieme su un’ampia varietà di cose. Forse puoi raccontare un po’ della tua vita a chi non ti conosce ancora bene?

Srećko Horvat: È un grande onore essere qui, la mia prima volta in Messico e con Gael che è un amico di cui ho gran rispetto. Sono nato in un paese che non esiste più, la Jugoslavia socialista, nata dalla lotta di liberazione contro il fascismo, e che aveva stretti legami con il Messico. Quando Josip Broz “Tito” ruppe con Stalin nel 1948 perché voleva implementare la sua versione del socialismo, il Messico divenne fonte d’ispirazione per la Jugoslavia. Per quale ragione? Prima del 1948 molti film sovietici furono proiettati in Jugoslavia, che ovviamente era contro gli Stati Uniti e Hollywood. Il Messico era un paese che aveva vissuto una grande rivoluzione e aveva somiglianze con la rivoluzione dei partigiani in Jugoslavia. È così che i film e la musica messicani sono diventati molto popolari negli anni ‘50 e ’60 da noi. Ci sono belle canzoni di cantanti jugoslavi che interpretano la musica messicana nella nostra lingua. Quindi c’era questa relazione speciale. Oggi è tutto diverso, la Jugoslavia socialista non esiste più, ora abbiamo sette stati nazionali, l’odio nazionalismo è tornato, l’Unione Europea da una parte, la Russia e la Cina dall’altra… Non ho parlato molto della mia vita, vero?

 

Gael García Bernal: Già, hai parlato più della configurazione della Jugoslavia! Hai fondato un movimento chiamato DiEM25, ci racconti cos’è?

Srećko Horvat: DiEM25 è un acronimo – ispirato al latino Carpe Diem – e sta per movimento democratico europeo 2025. È un movimento anticapitalista per tutta l’Europa, fondato con Yanis Varoufakis e altri compagni, a sostegno della speranza di un’unione europea antinazionalista. Si tratta di un’organizzazione di base, ma ha anche un’ala di partito e fa parte dell’Internazionale Progressista. Negli ultimi cinque anni abbiamo partecipato alle elezioni del parlamento europeo e alla campagna elettorale in Grecia dove è stato eletto un nostro rappresentante. Abbiamo pure inviato una delegazione in Sud America, in particolare in Cile, dove c’è una lotta importante per il futuro del continente. Quindi non solo scrivo libri, ma sono anche attivo politicamente.

 

Gael García Bernal: Come riesci a tenere insieme la musica punk, i rollerblade e il teatro?

Srećko Horvat: Il mio interesse per la filosofia e la politica è stato acceso dal punk quando sono tornato in Croazia dalla Germania nel 1991, mentre la Jugoslavia socialista stava crollando e stava iniziando una sanguinosa guerra. Per noi ragazzi all’epoca musica e film erano una via d’evasione, in particolare il punk, l’hardcore e l’hip-hop creavano una sorta di motivazione politica. Era il modo con cui nell’ex-Jugoslavia ci tiravamo fuori dal sistema che stava rovinosamente passando al nazionalismo e voleva metterci l’uno contro l’altro… Il punk è stato l’inizio, poi è arrivato il teatro d’avanguardia.

 

Gael García Bernal: E non vuoi citare i rollerblade?

Srecko Horvat: Rollerblade? 

 

Gael García Bernal: Beh, quando ti guardo, vedo che sembri uno da rollerblade!

Srećko Horvat: Ah ma mi stai prendendo in giro! Sai, nell’ex Jugoslavia abbiamo sempre avuto questa rivalità tra i rollerblader e skater. I rollerblader erano originariamente per i ragazzi sfigati, gli skater erano più fighi. Ma io ero uno skater!

 

Gael Garcia Bernal: Ora che abbiamo chiarito questo punto, voglio iniziare con uno dei concetti più importanti su cui rifletti nel tuo libro After the Apocalypse: il concetto di “sopraliminare” coniato dal filosofo tedesco Günther Anders. Che significa e come è venuto con questo termine?

Srećko Horvat: Günther Anders è stato un grande filosofo purtroppo ancora poco studiato, è stato uno dei primi a capire la svolta causata da Hiroshima e Nagasaki e la nuova era atomica. È a questo punto che introduce il concetto di “sopraliminare”. È meglio compreso in contrasto con subliminale. Quando vediamo gli annunci, influiscono sul livello al di sotto della soglia della nostra attenzione cosciente, quindi compriamo schifezze e ne siamo felici. Così funziona la società dei consumi. Günther Anders ha introdotto il termine “sopraliminare”, in contrapposizione a quello che in psicologia è il “sublimare”,

per indicare ciò che è troppo grande per provocare ancora una reazione. Non è sotto, ma oltre la soglia della nostra coscienza, e per lui la bomba atomica ne è il miglior esempio: qualcosa di così grande che non possiamo capirlo; qualcosa che ha conseguenze al di là della nostra comprensione.

Ho visitato Chernobyl per fare ricerche su questo libro, quella catastrofe sta ancora avendo un impatto, non solo lì, ma perfino in Baviera, dove hanno rilevato suoli contaminati in seguito alle radiazioni trasportate dal vento. Puoi vedere che al “sopraliminare” non interessano i confini più di quanto un virus si possa preoccupare dei politici che stanno effettivamente contribuendo a una catastrofe che supera l’era nucleare. Il nucleare, la crisi climatica, la pandemia, sono una combinazione di minacce così grandi che le persone perdono la cognizione e si deprimono. Pensano che non ci sia via d’uscita, non capiscono quali saranno le conseguenze del sistema in cui viviamo – ovvero il capitalismo – tra 5.000 o 10.000 anni ma queste stanno già avvenendo in regioni come l’America Latina. La “fine del mondo” è già accaduta per i Maya, per i curdi, o per i popoli indigeni di tutto il mondo. Si sono già trovati di fronte a cosa significhi quando le culture, le lingue, gli habitat e così via scompaiono. Ma sostengo che la situazione sia ancora più pericolosa. Non abbiamo a che fare con molte apocalissi o un’apocalisse in particolare, siamo di fronte all’estinzione!

 

Gael García Bernal: Questa è la chiave di come il tuo libro cambia prospettiva. Questa interpretazione dell’apocalisse riguarda una sorta di accettazione nel senso della sua etimologia: l’apocalisse è la “rivelazione”, una sorta di momento di “ora possiamo vedere”. Ne abbiamo parlato molto durante la pandemia. Ricordi come abbiamo cercato di capire cosa ci stava succedendo, cosa sarebbe cambiato e cosa rimasto? In questa strana situazione, l’unico modo per concentrarsi sul momento è capire cosa verrà dopo. In tale momento, il trascendente dispiega il suo effetto. Ho sentito parlare per la prima volta del concetto di “sopraliminare” da un articolo della giornalista brasiliana Eliane Brum: la causa della nostra paura, un blocco che ci impedisce di comprendere e progredire. Scrive che è bello stare male, perché poi si sentono le voci, si percepiscono le impressioni sensoriali, si percepisce il trascendentale che non si riesce a capire e si coglie perché è troppo grande. E subito mi sono chiesto: quando l’ho sperimentato? E come spiegarlo? Il mio esempio potrebbe essere lo tsunami in Giappone. Ricordo i grandi tsunami nelle Filippine o in Tailandia, ma fino ad allora non capivo davvero cosa significasse quando un’onda così grande colpisce un paese. Solo quando ho visto i video dal Giappone ho capito qualcosa che non ero stato in grado di sentire nel mio corpo. La cosa interessante dell’articolo di Eliane Brum è che il trascendentale non è solo una forza che impedisce la conoscenza, ma anche un invito all’azione, un richiamo dalla giungla, una voce che è un’arte da ascoltare. Senti che il trascendentale non è solo una forza che impedisce la conoscenza, ma allo stesso tempo un invito all’azione?

Srecko Horvat: Assolutamente. È sempre utile esaminare le catastrofi storiche e come hanno portato a grandi cambiamenti sociali. Ad esempio, l’eruzione del vulcano Laki in Islanda pochi anni prima della Rivoluzione Francese. Se guardi a cosa è successo dopo l’eruzione, non vedi solo il significato originale dell’apocalisse come “rivelazione” nel senso di svelamento. È servito anche da catalizzatore, proprio come fa il virus oggi. Un catalizzatore che ha mostrato quanto fosse arrogante, corrotta e incompetente l’élite: basti pensare a Maria Antonietta che disse: <<se non hanno pane che mangino le brioches>> mentre la gente moriva di fame. Ed è stato dimostrato che le élite non hanno davvero un piano, certamente non per i disastri. Ciò ha portato a fame e disordini sociali in tutta Europa perché il clima stava cambiando.

Quindi mi interessa sapere come gli eventi di oggi – dalla pandemia alle eruzioni vulcaniche e alla crisi climatica – influenzino il cambiamento sociale o abbiano altre conseguenze. Prendi il vulcano a Las Palmas che ha eruttato per tre mesi, è stato un disastro. Ma ovviamente abbiamo anche a che fare con quella che io chiamo “la commercializzazione dell’apocalisse”. Anche durante l’epidemia, le persone sono andate lì per scattare foto per Instagram. Ciò che considero pericoloso oggi è, da un lato, questo feticismo dell’apocalisse. Andiamo a Chernobyl perché c’era una serie TV ambientata e all’improvviso ne ricaviamo un prodotto, come se facessimo prodotti di noi stessi sui social media.

Ma d’altra parte penso che servano da catalizzatore, la pandemia ha già messo in luce quanto siano completamente corrotti i nostri leader. Molti di loro ancora negano la pandemia o non credono nella crisi climatica. Ma le persone capiscono e fanno rete. La mia speranza è che le mega-catastrofi possano far capire alle persone le basi della nostra società, che cosa c’è che non va nel capitalismo, questo sistema basato sullo sfruttamento delle risorse naturali – siano esse combustibili fossili o litio – e sull’espansione illimitata. Prima è stata la colonizzazione del vostro continente che ha portato al genocidio di popolazioni indigene, ora è quella su Marte. Così funziona anche nel nostro cervello, nelle nostre anime. Quello che stanno facendo i social network è sfruttare le nostre anime.

 

Gael García Bernal: Quello che apprezzo della nostra amicizia è che condividiamo l’idea che un vulcano potrebbe eruttare in qualsiasi momento, o è già scoppiato, nei continenti da cui veniamo. Questa tragedia che condividiamo crea una connessione. È lo stesso con i messicani e gli jugoslavi, colpisce persone da tutte le parti del mondo. Quando parliamo del trascendentale, è importante menzionare il ruolo del clown. Inizi il tuo libro con una citazione del filosofo Søren Kierkegaard: “Un incendio è scoppiato nel backstage di un circo. Il clown è uscito per avvertire il pubblico; hanno pensato che fosse uno scherzo e hanno applaudito. Lo ha ripetuto e l’applauso è stato ancora più grande. Penso che sia così che finirà il mondo: ricevere il plauso generale da parte di persone che pensano che sia una bufala”. Questo è un modo molto potente per iniziare un libro.

Srećko Horvat: Ma siamo noi, vero?

 

Gael García Bernal: Sì, siamo noi! Sai, quando ero più giovane, giravo film che sentivo avrebbero avuto un forte impatto sociale o politico, soprattutto perché all’epoca in Messico c’erano solo cinque o sei film girati in un anno. E hanno avuto un effetto, non erano necessariamente la base di qualcosa, ma catalizzavano su ciò che stava già accadendo. Adesso ci sono così tanti film e serie tv che sembrano uno scherzo per il pubblico. Ma ci troviamo di fronte al problema che i politici hanno iniziato ad adottare le solite battute, questi modi di dire, senza paura di rendersi ridicoli. Né hanno paura delle conseguenze di ciò che dicono. Uno dei motivi per cui volevo fare l’attore è che amo avere la libertà di riprendermi le mie parole. Come attore, mi è permesso di cambiare costantemente il significato di quello che dico, posso essere serio, posso scherzare… Il problema è che i politici hanno ripreso la barzelletta. Lo vediamo oggi con molte figure politiche, non solo in America Latina ma in particolare negli USA e anche in Europa. Non è più possibile un’altra politica?

Srećko Horvat: Prenderei di nuovo il ruolo del clown di Kierkegaard. Entrambi noi – e molti in questo mondo – siamo apocalittici da smentire. Sarei la persona più felice se qualcuno si avvicinasse a me il giorno dopo e dicesse: “sei un idiota, sei un clown, tutto ciò che hai detto era sbagliato”. Andrei sulla mia isola, farei una nuotata e passerei il tempo con i miei amici. Ma, sfortunatamente, oggi abbiamo bisogno di quell’atteggiamento, che si avvicina a quella che Jean-Pierre Dupuy chiama la “profezia illuminata di sventura”. Per inciso, ha scritto un bellissimo libro sugli tsunami, A Short Treatise on the Metaphysics of Tsunamis!

Un altro grande clown è, ovviamente, Noè. Günther Anders ha scritto una grande parabola su Noè rappresentato mentre comunica ai suoi simili l’imminenza del diluvio: una situazione simile all’apocalisse che stiamo vivendo. Noè è vestito con un saio color cenere, che ai suoi tempi era riservato alle persone a lutto. Allora va in piazza e la gente lo guarda come se fosse un clown e gli chiedono: “Chi è morto?” Lui dice: “Tu sei morto, voi qui e i vostri figli sono morti”. E rimangono tutti stupiti… Questo è il momento della rivelazione, ciò che gli attori possono fare, ciò che l’arte può fare, ciò che i grandi film possono fare, quando entrano nel tuo cuore e all’improvviso vedi una realtà che non hai mai visto prima. Lo vedo come una nostra responsabilità oggi. Anche se sembriamo dei pazzi, dobbiamo seguire l’esempio di Noè ogni giorno. Il problema, ovviamente, è che i decisori politici sono i veri clown ma non ne pagano le conseguenze. Ricordi quando Donald Trump ha suggerito di usare una bomba nucleare per combattere un uragano? Di recente, un altro politico ha suggerito lo stesso per fermare l’eruzione del vulcano a Las Palmas…

 

Gael García Bernal: Magari parliamo di poesia e di come ritrovare il senso del linguaggio e della semiotica. Sai, l’inglese è la mia seconda lingua e a volte mi innamoro di parole semplici come “Jesus”, “crazy”, “oh man” o “awesome”. Poi ho visto il modo in cui parlava Donald Trump. Si esprimeva come se l’inglese fosse la sua seconda o terza lingua, usando questi aggettivi costantemente e senza sosta, “bello”, “grande”, “fantastico”. Mi sentivo come se stesse cambiando di significato agli aggettivi e non ero libero di usare “bello” perché suonava come Trump. Quindi c’è una lotta per recuperare il significato della lingua, ne scrivi anche nel tuo libro. Perché quando è iniziata la pandemia, tutti questi termini, da “Covid” a frasi come “il ritorno alla normalità”, hanno preso significato. “Normalità” sembrava essere la convinzione che stavamo tornando a qualcosa. Ma non c’è stata una vera comprensione o discussione su ciò che le cose devono cambiare, quindi non arriviamo al punto in cui la “normalità” sta crollando. Ora c’è questa “nuova normalità”, che include comportamenti come il distanziamento sociale e cose del genere ma non che dobbiamo smettere di usare combustibili fossili, distruggere il pianeta e gli ecosistemi. Ciò che manca è una sorta di nuova mitologia per creare un’unione sociale più forte. Allora come possiamo dare di nuovo un senso alle parole?

Srećko Horvat: La lotta per il significato è la lotta più importante oggi. Non si tratta più di semplice finanziarizzazione, ma di quello che il filosofo italiano Franco “Bifo” Berardi chiama “semio-capitalismo”. È la forma del capitalismo odierno, che si basa principalmente sulla creazione, riproduzione e manipolazione dei segni.

L’esempio migliore è Elon Musk: twitta su una cripto valuta e poi questa aumenta di valore. Quindi vediamo che le parole non solo hanno un significato, ma hanno anche un impatto sulla vita reale, e oggi la situazione è ancora più pericolosa proprio per l’accelerazione delle tecnologie. Una guerra nucleare può essere innescata tramite Twitter. Ma allo stesso tempo, soprattutto in questa nuova fase del capitalismo, la speranza sta nelle crepe del sistema che già esistono e che possiamo rendere ancora più grandi. Usando i segni e il linguaggio e dando loro un nuovo significato, possiamo creare un mondo migliore.

C’è quella famosa frase in Alice nel paese delle meraviglie, quando Alice chiede a Humpty Dumpty come le parole possono significare così tante cose diverse e Humpty Dumpty risponde: <<la domanda è chi ha il potere, tutto qui>>. Questo è il semio-capitalismo. La domanda non è solo come sovvertiamo il significato, la domanda è come creiamo un nuovo significato, una nuova narrativa, una nuova cosmologia? Ed è qui che penso che la conoscenza indigena sia così importante, la conoscenza dei movimenti rivoluzionari, come gli zapatisti che hanno creato sia narrazioni che istituzioni parallele. Mi interessa sapere dove vedere le nuove narrazioni oggi, quale potere e responsabilità ha l’arte nel crearle e come i movimenti sociali insieme all’arte possono renderle efficaci. Non a livello locale ma mondiale, e non solo interpersonale, ma transumane.

 

Gael García Bernal: Forse il percorso verso nuove cosmologie passa attraverso rituali collettivi. Siamo esseri sociali, questo è diventato particolarmente evidente durante la pandemia quando non siamo stati in grado di incontrarci e le nostre vite spirituali, le nostre vite sociali e persino il nostro corpo e la nostra salute ne hanno sofferto. Siamo seduti qui in una stanza di fronte alle persone, e anche se indossano maschere, possiamo vederle. In realtà, possiamo anche guardarci negli occhi con le maschere meglio di prima. Ne hanno già parlato gli zapatisti. Un modo in cui potremmo essere in grado di creare diverse apocalissi è attraverso le esperienze condensate dei rituali, che possono variare da qualcosa di leggero come il carnevale al teatro sperimentale estremo. Con ciò potremmo creare qualcosa che abbia delle conseguenze, si spera anche artistiche. Tornando al “sopraliminare”, dovremmo concentrarci anche su cose concrete, come chiederci perché stiamo parlando di “nuova normalità” se non smettiamo di estrarre i combustibili fossili. Penso che i processi e i rituali artistici creino una comunità, un movimento e una conoscenza che fluisce nel corpo e dopo puoi creare una similitudine che si estende al contesto politico più ampio… Prima di concludere, facciamo un bell’applauso a Srećko! 

 

 

Trascrizione e traduzione ad opera di Francesco Sani.

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