La guerra in Ucraina compie i primi 30 giorni e lo stato delle cose non potrebbe essere peggiore. Il conflitto sembrava avviarsi verso un sanguinoso rallentamento quando le dichiarazioni incendiarie di Biden dalla Polonia hanno fatto ripiombare il rischio di un’escalation ad un livello preoccupante.
In tutto questo, il dibattito politico e le modalità con le quali esso è riportato sui media mostrano la raffinatezza orwelliana della dissonanza cognitiva. Siamo in guerra ma non si può dire; siamo in guerra ma il Parlamento – organo sovrano in materia – non l’ha deciso; siamo in guerra e quindi le opinioni che provano a proporre soluzioni senza l’elmetto in testa, più o meno drastiche, non hanno diritto di cittadinanza, anzi fanno scattare il riflesso pavloviano dell’accusa: sono antipatriottiche, antidemocratiche, e quanto di più orrendo di volta in volta possa venire in mente.
DiEM25 ha più volte ribadito il suo giudizio su un’invasione da parte della Russia di Putin giunta al culmine di un inasprimento ed esacerbamento del conflitto civile che dal 6 aprile 2014 sta sconvolgendo l’Ucraina e i suoi abitanti.
Non sono in discussione le responsabilità del regime russo e il totale rifiuto delle sue azioni, ma risulta sempre più straniante la chiusura a corazza del discorso pubblico interventista di fronte a qualsiasi tentativo di riflessione su quali siano state le responsabilità di chi ha governato negli ultimi 30 anni e ci ha portato fin qui.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha precipitato quel paese in un decennium horribilis in cui la popolazione è stata preda del caos e della criminalità. La Russia è stata la prateria dei capitali informali, una gigantesca lavatrice che è stata utile a mezzo mondo. Quel caos si è poi assestato su un collettore di apparente stabilità, economica e, con alti e bassi, la Russia è diventata un partner commerciale del mondo globalizzato.
In Italia, tutti i 5 più grandi partiti del Paese non hanno battuto ciglio ed hanno coltivato relazioni non solo economiche col regime putiniano: a partire da chi storicamente ha “dormito nel suo lettone”, chi ha preso finanziamenti, chi ha goduto di appoggi e lo ha sostenuto a lungo, chi oltre a farne un riferimento ideologico gli ha dato sponde diplomatiche imbarazzanti. Chi infine addirittura gli ha venduto armi nonostante un embargo europeo, che senza dubbio è l’atto più grave.
Tutti questi partiti oggi compiono giravolte memorabili per riposizionarsi, ma una classe giornalistica complice, invece di inchiodarli alle proprie responsabilità, li asseconda e spinge una narrazione tossica e bellicista dall’alto di una supposta e inesistente superiorità morale nei confronti di chi protesta contro l’imperialismo, anche quello putiniano, da decenni.
E’ palese il tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto urlando all’emergenza e restringendo sempre più il quadro di osservazione temporale e geografico, per non dover affrontare gli errori, le colpe – se volessimo utilizzare categorie morali – di chi oggi disperatamente tenta di ripulirsi la coscienza.
Lo afferma candidamente il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta: “dobbiamo trovare soluzioni e non fare un dibattito sulla storia di questi 25 anni”. Difatti la domanda infamante che viene rivolta ai pacifisti (oggi come per ogni intervento armato che ci ha coinvolto negli ultimi decenni) è sempre la stessa: “E quindi voi come la risolvereste? Li lasciamo crepare?”. Un po’ come se qualcuno rompesse tutte le uova e poi vi accusasse di non saperle rimettere nel guscio.
Invece questi 25 anni li dobbiamo proprio guardare, se non per “capire” (e non giustificare) come è nato questo conflitto, almeno per ridare un po’ di senso al concetto di responsabilità (l’accountability tanto cara alle istituzioni europee) – che almeno in politica dovrebbe essere sovrano – invece di buttare la croce su chi nel bene e nel male non ha mai deciso o governato niente.
È nostro compito, come quello di ogni cittadino responsabile che domani andrà a votare, capire come non ripetere gli stessi errori e ripiombare nella stessa situazione con cadenza ciclica per decenni.
Difficile immaginare che la vendita di armi sotto embargo, o il supporto scanzonato dei nostri leader politici siano stati determinanti per l’esito bellico dell’invasione in Ucraina, ma cosa avrà mai potuto pensare Putin in questi anni, riferendosi ai nostri comportamenti?
Che gli europei sono persone serie, avversari temibili, le cui decisioni e minacce vanno temute e scongiurate e che dunque fosse preferibile tenere i migliori rapporti possibile?
O che invece siamo una banda di buffoni che il lunedì sanzionano con un embargo -nientemeno- e il martedì fanno a gara per aggirarlo sottobanco, e che siamo disperati per fare affari con lui, non importa quanto siano grondanti di sangue le sue mani?
È così pazzesco pensare che questo atteggiamento abbia contribuito ad un’escalation di provocazioni culminata con pretese territoriali imperialiste e nazionaliste quasi ai nostri confini? Chi oggi ci esorta, col petto gonfio di solidale orgoglio, a difendere i valori di democrazia, di Europa, di difesa dei deboli e degli aggrediti, come ha difeso gli stessi valori in questi anni?
Perché se è “facile fare i pacifisti da divano”, è ancora più facile urlare al “rally around the flag” quando fischiano i missili e scoppiano le bombe, ma è molto più difficile restare ancorati a quei valori in tempi di pace.
È difficile dimostrarsi valorosi quando non ti guarda nessuno, quando nel buio di una stanza arriva il dittatore con la mazzetta di banconote in mano. È difficile perché in quel momento non c’è guadagno politico alla portata, nessuno ti applaude se fai la cosa giusta, la devi fare solo perché è giusta; e certamente non è stata fatta.
Diem25 crede che i cittadini europei abbiano diritto ad essere governati da una classe politica che a questi valori creda sempre, non solo quando fa comodo.
Oggi invece questi politici piccoli piccoli ci chiedono di dimenticare o almeno di chiudere un occhio sulla loro coscienza sporca e di ripetere per l’ennesima volta l’errore commesso in Iraq, in Afghanistan (2 volte!), in Siria, in Libia, etc… E lo fanno con un ethos e uno slancio “valoriale” estremamente preoccupante per quel che riguarda il futuro dell’Europa: retorica guerresca, richiamo a valori identitari, insofferenza per il dibattito e il dissenso, ricerca di improbabili capri espiatori. Una Europa di Visegrad unita solo sotto la bandiera della NATO e pronta a nascondersi sotto l’ombrello dello Zio Sam, pronta a sacrificargli la sua, di identità, quella culturale e politica – che la guerra bandisce – affermata a parole nei suoi documenti fondativi.
Oggi senza troppi giri di parole trasmettono l’idea che sia legittimo sollecitare un impervio e sanguinoso regime change in Russia senza certezze né sul costo in vite umane di una tale operazione, né su chi potrebbe sostituire Putin senza rischiare una toppa peggiore del buco, e sulla nostra pelle, sulla pelle dei cittadini Europei, Ucraini, Russi; mentre la possibilità di un accordo di pace esiste, messa sul piatto da entrambi gli schieramenti, basata su una neutralità dell’Ucraina e un accordo sui territori contesi.
Qualsiasi futuro ci si porrà davanti, qualsiasi ruolo l’Europa si ritroverà a giocare, sarà credibile ed efficace solo se farà chiarezza sul proprio ruolo nel passato e intenzioni sul futuro. Avremo una chance solamente se ritroveremo le energie per ribellarci a questa classe dirigente colpevole e mediocre, che sta ponendo in essere l’ennesima azione di propaganda a tutto gas, per mettere a tacere chi non crede nella corsa agli armamenti, chi – chiedendo la transizione ecologica – chiedeva l’indipendenza dal gas russo, dal petrolio egiziano e dagli altri regimi dai quali a parole prendiamo le distanze, e chi ha capito per tempo la poca lungimiranza dell’adagio “il nemico del mio nemico è mio amico”.
È il momento di fermare i doppi standard, la doppia morale, la doppiezza su tutti i fronti. La stessa doppiezza di chi dice di voler fare la pace, ma pone la questione di fiducia sulla destinazione del 2% del PIL alla spesa in armamenti ed alimenta l’escalation militare inviando armi. E per farlo piega le regole democratiche codificate nella Costituzione, sventolando la bandiera della democrazia.
Se l’art. 11 della Costituzione, infatti, legittima la guerra di difesa, per farvi ricorso è necessario affermare di essere coinvolti in una guerra, con buona pace dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che fa salvo il diritto naturale alla difesa individuale e collettiva – ma sempre nel rispetto dei processi costituzionali interni, e dell’art. 5 del Trattato NATO (di cui l’Ucraina non fa parte). Non dirlo non modifica lo stato delle cose, le disconosce solamente. Allora o si ripristina lo stato di diritto oppure non ci si può fregiare delle stellette dei difensori della libertà.
Per queste ragioni riteniamo auspicabile che, come hanno fatto i lavoratori dell’aeroporto di Pisa e i portuali di Genova qualche giorno fa, i lavoratori e le lavoratrici che si trovassero nella condizione di dover dare esecuzione a provvedimenti legislativi di dubbia costituzionalità, di fatto tesi ad aggravare la guerra in atto, si sentano in diritto di disobbedire. Troveranno attivisti pronti a difenderli, senza bisogno di indossare l’elmetto.
Pace, libertà e lavoro!
#coscienzasporca
Questo articolo è stato scritto da Federico Dolce e Veralisa Massari.
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