L’incidente ferroviario che ha causato 57 vittime in Grecia impone di riaprire la discussione sulle privatizzazioni – ormai date per scontato – e su come sono state fatte. L’impostazione delle politiche poste in essere nei paesi dell’UE conduce alla cannibalizzazione reciproca, finanche tra i paesi dell’Unione, invece che alla leale cooperazione per il miglioramento delle condizioni della popolazione.
Con troppa leggerezza, infatti, si è archiviato il coinvolgimento di Ferrovie dello Stato, società italiana a totale partecipazione pubblica (MEF), nell’incidente avvenuto in Grecia.
È necessario ricapitolare in breve la storia. Nel 2013, nel pieno della crisi di debito, la Grecia è stata costretta alla privatizzazione anche dei servizi pubblici essenziali. Sotto il controllo del Fmi e della Commissione europea, pertanto, TrainOse, società cui OSE – società pubblica che gestiva l’intero settore ferroviario (rete e trasporto) – aveva conferito il ramo del trasporto ferroviario, viene trasferita all’Hellenic Republic Asset Development Fund, il fondo per la gestione delle privatizzazioni delle società pubbliche elleniche. Sicché, nel 2016 nell’ambito di una gara internazionale per la privatizzazione, Ferrovie dello Stato, per il tramite di Trenitalia, si è aggiudicata TrainOse – con un’offerta di circa 45 mln di Euro (https://www.ilsole24ore.com/art/grecia-scontro-un-treno-passeggeri-e-merci-almeno-32-morti-e-85-feriti-AE7Y3jvC, https://www.ferrovie.it/portale/articoli/6665 ).
Nel luglio 2022, poi, è stato definito il contratto di servizio decennale (rinnovabile per ulteriori 5 anni) tra lo Stato greco e TrainOse (https://www.fsnews.it/it/focus-on/servizi/2022/4/14/grecia-trainose-firma-contratto-servizio-trenitalia-fs-italiane.html) e lanciata Hellenic Train, sotto il controllo di Trenitalia, per la fornitura del servizio di trasporto ferroviario a fronte di un corrispettivo di 50 mln di euro l’anno. L’infrastruttura delle linee ferroviarie, dunque, è rimasta in proprietà e gestione dello Stato (OSE), senza che esso potesse (e volesse) investire le risorse necessarie per il suo ammodernamento e ampliamento e per la sua sicurezza complessiva.
In seguito all’incidente, la Federazione ferroviaria panellenica (Pos) ha indetto uno sciopero, sul presupposto che: “La mancanza di rispetto mostrata nel tempo dai governi nei confronti delle Ferrovie greche ha portato al tragico risultato di Tempi. Purtroppo le nostre continue richieste di assunzione di personale a tempo indeterminato, migliore formazione, ma soprattutto l’applicazione delle moderne tecnologie di sicurezza, vengono gettate nel cestino”.
(https://tg24.sky.it/mondo/2023/03/02/incidente-treno-grecia-sciopero)
Come ha riferito il presidente del sindacato dei macchinisti Kostas Genidounias, inoltre, da anni nelle ferrovie greche tutto si fa manualmente: le comunicazioni vengono effettuate via radio tra capostazione e macchinista, non c’è segnaletica e la rete elettronica da tempo ha smesso di funzionare e non è stata mai ripristinata.
Per tali ragioni sembra che già lo scorso anno il responsabile di Hellenic Train per la segnaletica e le comunicazioni avrebbe rassegnato le sue dimissioni e, il 15 febbraio scorso, la Commissione Ue ha deferito la Grecia alla Corte di giustizia europea a causa della «pericolosità della rete ferroviaria» (https://ilmanifesto.it/frontale-tra-treni-ora-la-grecia-piange-una-tragedia-evitabile ).
La responsabilità politica consiste nel rifiuto del governo Mitsotakis di investire nelle infrastrutture pubbliche, responsabilità che ha condotto alle dimissioni del ministro dei trasporti Karamanlis.
Oltre a prendere atto dei tragici eventi, però, non si può trascurare il paradosso che si verifica nel mercato europeo: sin dal 2017 (https://www.fsitaliane.it/content/fsitaliane/it/media/comunicati-stampa/2017/9/14/grecia–fs-italiane-acquisisce-il-pieno-possesso-di-trainose.html ), infatti, il piano industriale di Trenitalia – senza tenere conto delle condizioni della rete infrastrutturale – prevedeva il riutilizzo in Grecia di una problematica generazione di ETR, gli ETR 470, che erano stati dismessi in Italia e in Svizzera, e gli ultimi dei quali coprivano la tratta Reggio Calabria – Roma (https://www.ferrovie.it/portale/articoli/9879). Si tratta di perplessità analoghe a quelle che sorgono in ordine alla notoria differenza di servizi esistenti in Italia, tra i collegamenti su ferro nel Centro-Nord Italia e quelli, incomparabilmente inferiori per numero e qualità, nel Sud, su cui RFI (Rete Ferrovie Italiane, sempre di proprietà di FS), nonostante il controllo pubblico, non investe a sufficienza, è ciò nonostante il treno sia il mezzo di trasporto meno impattante dal punto di vista ambientale.
La compagnia italiana fa sapere di aver investito 45,2 mln di Euro in Grecia nel 2021 e di pianificare di investire ulteriormente entro il 2027, nell’acquisto di 10 nuovi treni a idrogeno e 10 nuovi treni elettrici. Non ci può non chiedere come tali futuri investimenti possano essere compatibili con una rete vetusta, sulla quale lo stato, che fortunatamente è tuttora proprietario, ma che è stato strozzato dai debiti, non è in grado di investire.
Le privatizzazioni siffatte, separando la gestione delle infrastrutture dalla fornitura dei servizi, mettendo sul mercato quest’ultima, con lo spacchettamento delle attività, in linea con la disciplina sulla concorrenza nel mercato UE, in realtà, in buona sostanza solo apparentemente consente una più efficiente gestione: in realtà sottrae risorse al gestore pubblico, cui restano i costi e non i profitti, e impedisce la visione di sistema, rendendolo insostenibile. Ciò si verifica in tutti i settori nei quali ci si è orientati verso le privatizzazioni, in particolare laddove sia indispensabile una rete infrastrutturale: nei trasporti, nelle telecomunicazioni, nella gestione dell’acqua, nella sanità. La permanenza in mano pubblica della gestione dovrebbe invece essere garantita al fine di garantire la fruibilità democratica del servizio.
La dimensione europea del caso in questione – che coinvolge lo Stato greco e una Compagnia di stato italiana – rende ancor più evidente che una competizione al ribasso il cui scopo primario non sia l’interesse dei cittadini bensì il mero equilibrio di bilancio, conduca invece che al rafforzamento del sistema europeo a fenomeni al limiti dello sciacallaggio tra i paesi membri. È necessario ripensare il livello cui ci si è spinti nelle privatizzazioni di servizi pubblici essenziali, e – più in generale – le modalità con le quali colmare i gap esistenti tra i diversi paesi europei, non soltanto con l’armonizzazione delle legislazioni, ma con l’armonizzazione sostanziale delle condizioni di vita.
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