20 anni dal G8 di Genova

I fatti del vertice G8 del 2001 furono un punto di svolta per l’Italia. Da lì è cominciata la deriva di una “democrazia autoritaria” a cui oggi DiEM25 deve dare il suo contributo d’opposizione. 

Testo a cura di Francesco Sani (giornalista e membro DiEM25 – DSC Firenze).

Per coloro che hanno passato i 40 anni ed erano ventenni nel 2001, il vertice G8 di Genova – momento clou delle manifestazioni contro la globalizzazione neoliberista e il potere delle multinazionali sul Pianeta – è stato una ferita generazionale. La memoria torna su fatti vissuti in prima persona da i molti che vi parteciparono, e dice a chi ha 20 anni oggi che il mondo post-Genova era stato già previsto: surriscaldamento climatico, privatizzazione dei beni pubblici, crack delle borse, dominio di Big Pharma nei brevetti… Il modello di sviluppo dominante fu denunciato allora. Ma il movimento antagonista in quelle giornate di piazza venne brutalmente represso dallo Stato – come affermato da Amnesty International – in “una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia più recente”. 

Lo scenario prima di Genova: dal WTO a Seattle al Forum di Porto Alegre

Nel 1999 al summit della World Trade Organization a Seattle, i manifestanti – giunti da tutto il mondo per una grande protesta che monopolizzò l’informazione – non solo denunciarono il capitalismo selvaggio e lo sfruttamento delle risorse del Pianeta da parte di multinazionali e governi compiacenti, ma riuscirono a far fallire il vertice sospeso per la guerriglia urbana. La Battle of Seattle fu il battesimo di fuoco e vide per la prima volta negli USA la convergenza tra anarchici e sindacalisti. A gennaio 2001 in Brasile, a Porto Alegre, le varie anime del movimento, insieme a intellettuali di caratura internazionale, si riunirono in un forum che adottò lo slogan Un altro mondo è possibile. Era la risposta al neoliberismo e su quell’onda nel 2002 sarà eletto presidente del Brasile l’ex leader operaio Luiz Inácio Da Silva detto “Lula”. Nel frattempo, prima di Genova, il “popolo di Seattle” era apparso con la sua vena contestatrice in altri vertici di capi di governo: da Nizza a Praga, da Napoli a Québec City in un crescendo di forza d’urto delle proteste: a Göteborg la polizia sparò e ferì un dimostrante. La stampa soffiava sul fuoco e alimentò il clima di tensione, quella tedesca addirittura ipotizzò un attentato del terrorismo islamico a Genova. “Siamo al rilancio della strategia della tensione” denunciò il portavoce del GSF Vittorio Agnoletto. I servizi segreti italiani erano preoccupati, eppure il numero dei partecipanti alla manifestazione indetta dal Genoa Social Forum (GSF) – raccogliente più di 1.000 associazioni – fu clamorosamente sottostimato.

Il G8 di Genova: la morte di Carlo Giuliani e la “macelleria messicana”

Venerdì 20 luglio 2001, al primo giorno del vertice a Palazzo Ducale che riuniva gli otto premier dei paesi più sviluppati del mondo – Berlusconi per l’Italia fece gli onori di casa, c’erano tra gli altri l’americano Bush Jr, il francese Chirac e il britannico Blair – avvengono subito incidenti tra il corteo autorizzato delle “Tute Bianche” (facenti capo ai centri sociali del Nord-Est) e le forze dell’ordine. Sono 18mila gli agenti a presidio della blindatissima “zona rossa” dove si svolgono gli incontri tra i capi di governo. In via Tolemaide, i Carabinieri effettuano una carica nonostante la Questura non l’avesse ordinato. Dovevano invece recarsi in zona Marassi dov’era in azione l’ala più dura dei contestatori. Fu il primo black out accertato e innescò gli eventi che ebbero il tragico epilogo in piazza Alimonda: il giovane Carlo Giuliani rimane ucciso da un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica, poi assolto nel 2003 per legittima difesa. Lo stesso Placanica però nel 2008 presenterà una denuncia contro ignoti per l’omicidio Giuliani, sulla base di una nuova perizia escludente il colpo partito dalla sua pistola. Oggi sappiamo che nella catena di comando dell’Arma c’erano i vertici dei reparti speciali che erano stati impegnati nelle missioni estere quali Bosnia e Kosovo, eppure il segnarono la gigantesca manifestazione di 300mila persone arrivate da tutta Italia e non solo. C’erano i giovani dell’associazionismo (ambientalista, pacifista, di sinistra e il cattolico), i sindacati, i partiti comunisti europei e purtroppo anche molti infiltrati lì solo per creare disordini. Fu una giornata campale, poi, la notte quando tutto sembrava finito, 200 poliziotti fecero irruzione nel complesso scolastico Diaz sulle tracce dei violenti anarchici black bloc. Il Settimo nucleo, l’ex reparto celere di Roma, con gli agenti delle squadre mobili e della Digos – coadiuvati da uomini in borghese con la pettorina della Polizia ma mai individuati – picchiarono selvaggiamente e arrestarono le 93 persone ospitate. Non erano il black bloc e non avevano opposto resistenza, in quell’operazione che il vice questore Michelangelo Fournier in tribunale definirà “una macelleria messicana”. Per il giornalista inglese Mark Covell, gravemente ferito nella circostanza, l’irruzione servì come raid per distruggere materiale video e fotografico raccolto dal GSF, dato che la scuola faceva da media center in quei giorni. I numerosi processi aperti sulle vicende del 20 e del 21 luglio 2001 si trasformarono in uno scontro tra i magistrati dell’accusa e i massimi vertici della Polizia. Per usare le parole del giornalista Lorenzo Guadagnucci, “uomini dello Stato democratico contro altri uomini dello Stato democratico”. Dieci anni di processi che segnano l’Italia, svelando una parte di verità su quella che è stata definita da Amnesty International “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”.

Italia 2001 – 2021: una ferita generazionale che ha generato il vuoto politico attuale

A 20 anni dai fatti ricordiamo un manifestante morto, centinaia arrestati arbitrariamente – decine dei quali subirono soprusi fisici e verbali nella caserma di Bolzaneto – e il già citato episodio del pestaggio degli accampati alla scuola Diaz, ricostruito nel 2012 nel noto film del regista Daniele Vicari. Sempre in quell’anno fu presentato al Festival di Berlino il documentario The Summit di Franco Fracassi e Massimo Lauria. Nel 2011 invece ricordiamo un’altra testimonianza, Black Block, film documentario di Carlo Bachschmidt che oggi conserva a Bologna l’archivio di tutto il materiale prodotto in quei giorni del vertice.

A Genova non erano tutti professionisti della guerriglia urbana, ma quest’immagine veicolata da media compiacenti fu il pretesto per la repressione. I tribunali hanno condannato molti antagonisti per “devastazione e saccheggio” e vari membri delle forze dell’ordine per “trattamenti inumani o degradanti”. L’Italia stessa è finita sotto processo dalla Corte Europea dei Diritti Umani e condannata per la gestione dell’ordine pubblico al G8. Ma i vertici dello Stato non presero le distanze da quelle condotte, la catena di comando ritenuta responsabile non fu rimossa. Anzi, ci furono promozioni e nessuna collaborazione: 250 procedimenti, originati da denunce nei confronti di esponenti delle forze dell’ordine per lesioni – il reato di tortura ancora non c’era – furono archiviati per impossibilità di identificare gli agenti responsabili. Resta il sospetto di una regia internazionale occulta all’opera per distruggere il movimento – temuto perché univa sempre più persone dalla provenienza ideologica più disparata – e che il comando in piazza in quei giorni prendesse ordini impartiti da chi non sapremo mai. Andrea Camilleri scrisse che fu una “prova di tensione”: fin dove il potere poteva arrivare nella negazione di diritti democratici. Una regia che evidentemente faceva capo ai governi occidentali, quelli che poi nel 2003 dichiararono guerra all’Iraq, nonostante milioni di pacifisti in tutto il mondo avessero dimostrato il loro dissenso.

Oggi l’Italia reazionaria del 2001 può sembrare una cartolina sbiadita – nel 2017 è entrato nel nostro ordinamento il “reato di tortura” – eppure la qualità della democrazia nel complesso sembra peggiore. Un paese rimasto la retroguardia del neoliberismo – a dimostrazione dell’attualità della critica di chi era al G8 a manifestare con lo slogan “un altro mondo è possibile” – e delle istanze odierne di DiEM25 che si è investita del compito di evitare un futuro distopico stile Genova 2001. 

 

Fotografia: Carabinieri nell’atto di caricare i manifestanti. Fonte: Wikimedia Commons.

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