Polizia e manganelli

Mentre il raduno neofascista svoltosi il 7 gennaio in Via Acca Larentia (Roma) non è stato bloccato dalla polizia, i manifestanti libertari che si sono riuniti a Pisa il 23 febbraio sono stati manganellati a sangue. I liberali hanno sostenuto l’intervento della polizia, affermando che la manifestazione fosse ‘pro-Hamas’.

Quanto avvenuto a Pisa solleva ancora una volta la discussione sulle problematiche disciplinari che da sempre caratterizzano le Forze dell’Ordine italiane. Sotto i Savoia la polizia veniva esplicitamente addestrata alla repressione delle manifestazioni; dopo la caduta del regime fascista e della monarchia sabauda non si procedette a un radicale cambiamento nell’assetto istituzionale: gli uomini di punta del Ventennio furono infatti riciclati nei governi democristiani, che assunsero inevitabilmente una configurazione liberale e reazionaria.

Tangentopoli pose fine ai partiti della Prima Repubblica, ma non alla loro cultura violenta e repressiva (sopravvissuta grazie a Forza Italia, al Partito Democratico della Sinistra e al Partito Popolare Italiano), come chiaramente esplicitato dai fatti del G8 di Genova. Di recente si possono riscontrare tracce di questa cultura nella promozione del Generale Roberto Vannacci (autore del libro nazional-popolare Il Mondo al Contrario) a capo di stato maggiore del Comando delle Forze Operative Terrestri.

È necessario convincere l’opinione pubblica che anche la polizia può sbagliare, e che quindi, se qualcuno viene pestato dalla polizia, non è per forza un criminale [v. omicidio di Federico Aldrovandi]. Deve inoltre aver fine l’omertà che caratterizza le Forze dell’Ordine italiane: se un agente sbaglia, deve essere punito. Solo così l’Italia potrà essere davvero uno Stato di Diritto e non uno Stato di Polizia.

La violenza della polizia non solo è inutile per risolvere i conflitti, ma rischia addirittura di esacerbarli, così come teorizzato da Larry Kummer: «uccidendo persone inermi, a volte per motivi banali, a volte senza motivo, la polizia erode la fiducia dei cittadini non solo nella polizia stessa ma anche nella legittimità del nostro tipo di società […] perché rispettare le leggi se neanche la polizia lo fa?».

L’acronimo ACAB (‘All Cops Are Bastards’) rischia di osservare con un’ottica individualista un atteggiamento che è invece strutturale, ignorando tra l’altro la storica esistenza di figure eroiche come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Carlo Alberto dalla Chiesa. Semplificare la questione urlando «ACAB!», tra l’altro, otterrebbe l’effetto (indesiderabile per pacifisti, progressisti e libertari) di demonizzare l’avversario.

Anche se ogni agente ha la possibilità di scegliere se rifiutare, accettare o promuovere il liberalismo reazionario, la brutalità della polizia è un problema di carattere culturale, legato al fondamentalismo, al paternalismo e al conservatorismo, elementi che hanno caratterizzato il Bel Paese sin dal 1871. In ottica marxista rivoluzionaria, inoltre, le Forze dell’Ordine non devono essere considerate come nemico, perché ogni rivoluzione (come insegna la storia) ha bisogno di essere supportata dalla polizia; ogni visione che non riconosca questa pragmatica necessità scadrebbe nel socialismo utopico.

Anche nell’ottica marxista di abolizione dello Stato, dovranno esistere le Forze dell’Ordine, altrimenti si scadrebbe nell’anarco-fascismo, o nell’avarizionismo. La società futura, da raggiungere per mezzo della piena automazione, del socialismo e della de-burocratizzazione, dovrà fondarsi sul volontarismo, ma avrà ancora bisogno di regole. Non è bene che gli individui si difendano da soli, armandosi da soli.

Le Forze dell’Ordine devono essere però riformate e devono essere ridotte a ‘extrema ratio’ nella lotta contro il crimine e contro lo sfruttamento.

Dottor Christian Trevisti

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